Le madri e gli attivisti, che in questi giorni stanno protestando in Nigeria affinché vengono liberate le ragazze (hanno fra i 12 e i 17 anni) prese in ostaggio dagli appartenenti al movimento integralista Boko Haram, sono riusciti a portare l’attenzione mediatica su questo dramma. I loro appelli si sono moltiplicati nel web e questo ha fatto in modo che i media generalisti, grazie anche agli interventi degli attivisti dei diritti umani, dei politici e degli appartenenti al mondo dello spettacolo, ne parlassero. In queste giorni molte persone nel mondo stanno seguendo con apprensione la situazione delle quasi 300 ragazze che rischiano di essere vendute come spose o come schiave (purtroppo essere sposa o schiava non cambia molto in questo contesto) per pochi dollari. Purtroppo la situazione riguardo i diritti umani in Nigeria, grazie anche al rafforzamento di questi gruppi estremisti finanziati da Al Qaeda, sta diventando sempre più drammatica, il rapimento di queste giovani studentesse ha portato all’attenzione del mondo occidentale il dramma che questa nazione che sta vivendo da tempo. Solo negli ultimi anni gli attentati causati dai fondamentalisti del movimento Boko Haram hanno causato migliaia di vittime, nello stato del Borno (dove sono state rapite le ragazze) si contano 3 milioni di persone in crisi umanitaria, 250.000 sono gli sfollati nel paese dall’inizio di quest’anno. Le scuole sono state spesso prese di mira e questo ha portato alla morte anche di alcuni alunni maschi.
Nei paesi dove si verificano crisi umanitarie, di qualsiasi natura, sono i bambini a pagare il prezzo più alto e l’essere nate femmina è un’aggravante maggiore.
50.000.000 di persone in India nell’arco di 3 generazioni sono state sistematicamente sterminate poiché femmine. In Cina, come riporta Reggie Littlejohn fondatrice di Women’s Rights Without Frontiers, la politica del figlio unico provoca più violenza contro le donne e le bambine di ogni altra politica ufficiale nella storia mondiale.
In Siria, in alcune zone controllate dai fondamentalisti , sono state imposte regole che opprimono la libertà di movimento delle donne e delle ragazze. Secondo uno studio di unwomen.org i matrimoni che vedono coinvolte le bambine e la violenza domestica sono in aumento nelle famiglie dei rifugiati. I bambini rifugiati crescono sempre più indigenti, per questa ragione i genitori sono più inclini a togliere le loro figlie dalle scuole o a farle sposare in giovane età in cambio di doti. Il matrimonio precoce è visto come un modo per garantire che le figlie siano curate e nutrite e grazie alla dote, questo crea un piccolo reddito per la famiglia. Le donne e le ragazze vendute in matrimonio a volte vengono abbandonate o rivendute ai bordelli o ai trafficanti, in queste condizioni vengono ancor più sfruttate e abusate.
Secondo i dati dell’Unicef, riferiti al 2012, nel pianeta sono 70.000.000 le bambine costrette a sposarsi per sopravvivere, queste bambine devono sopportare ogni forma di abuso e di violenza. La vita di queste giovanissime è invisibile agli occhi del mondo, nelle loro nazioni di provenienza, paesi in via di sviluppo, esse non rientrano in alcun programma assistenziale e previdenziale, sono vittime di violenze sessuale, discriminazioni, sfruttamento. Il problema culturale è enorme, il 53% di queste spose bambine è convinto che il marito, in alcune circostanze, sia legittimato a picchiarle. Queste giovanissime spose spesso rischiano di incorrere in malattie come l’HIV poiché non hanno né mezzi né informazioni per evitare il contagio.
In Bolivia 800 mila minori sono coinvolti in lavori ritenuti pericolosi, tra questi 364 mila sono bambine. In molte culture si preferisce favorire l’istruzione ai bambini, le bambine che svolgono lavori domestici, esposte a pericoli come il fuoco e il gas, sostanze chimiche e uso di strumenti pericolosi, sono più di un milione.
Nel rapporto presentato nel 2012 sulla discriminazione delle femmine Terre des hommes riferiva che una bambina su 4 nel pianeta è vittima di abusi, le vittime minorenni di violenza sessuale sono 150 milioni, 16 milioni le mamme bambine, almeno 2 milioni e mezzo le minorenni che ricorrono all’aborto in strutture non adeguate e in situazioni altamente a rischio per la propria vita. Le ragazze che partoriscono e che hanno meno di 15 anni rischiano di morire di parto in una percentuale maggiore rispetto alle ragazze di 20 anni. 10 milioni sono le minorenni spesso costrette a sposarsi dai propri familiari a causa della povertà, bambine che se avessero avuto la possibilità di studiare avrebbero al contrario potuto garantire un reddito maggiore alle proprie famiglie. In paesi come l’India e la Cina la propria nascita se si appartiene al sesso femminile è spesso ostacolata, la mortalità fra le bambine supera del 75% quella dei bambini. I problemi relativi ad una scarsa nutrizione fanno si che le adolescenti in India sottopeso siano quasi la metà, in Eritrea sono il 40%, in Bangladesh il 35%, nelle zone andine del Perù il 70% delle ragazze soffre di anemia.
In Africa e in alcuni paesi medio-orientali e asiatici circa 12 milioni e mezzo di bambine sono vittime di mutilazioni genitali. Nelle zone dell’Africa centro-occidentale circa mezzo milione di adolescenti ai primi segni di pubertà subisce lo schiacciamento del seno, con pietre e metalli, da parte delle loro madri che con queste pratiche cercano di preservare le figlie dalle violenze sessuali. Le bambine che hanno subito le mutilazioni genitali, oltre al rischio d’infezioni con le relative terribili conseguenze e al dramma psicologico dovuto al trauma, hanno maggiori probabilità nel futuro di morire di parto, di partorire un bambino già morto, sono maggiormente soggette alle malattie che riguardano l’apparato genitale, riportano in una percentuale altamente maggiore della media danni al sistema riproduttivo e significative disfunzioni sessuali.
Nel Febbraio 2013 l’Irin (agenzia di stampa umanitaria dell’ONU) ha pubblicato l’analisi “Girl child soldiers face new battles in civilian life” che riporta l’aspetto delle bambine soldato nella tragedia dei minori che sono costretti a combattere nei vari conflitti, spesso dimenticati, nel mondo. Molte di queste bambine vengono reclutate come schiave sessuali e non rientrano nei programmi di recupero del disarmo, il loro ritorno alla vita civile è soventemente ostacolato nei loro luoghi di provenienza poiché vengono considerate “disonorate”.
Nel nostro paese il fenomeno della prostituzione giovanile è venuto recentemente alla ribalta quando è stato scoperto il giro delle cosiddette baby-squillo dei Parioli, ragazzine che si prostituivano, in alcuni casi con la complicità delle madri, per denaro negli ambienti della Roma bene. Ne è seguito un lungo dibattito nei media, purtroppo l’attenzione che si dovrebbe riservare alle minorenni in ogni caso è stata scarsa. Poco si è parlato delle bambine, hanno fra i 13 e i 15 anni, di Napoli. Enzo Ciaccio, nel suo reportage (pubblicato da lettera43.it il 26 novembre 2013), aveva parlato di prostitute bambine dimenticate cedute ai clan dalle famiglie.
epcat.it (End Child Prostitution, Pornography and trafficking) riporta che nel nostro paese ogni anno arrivano centinaia di nuove baby-prostitute, già sfruttate nei loro territori di provenienza e trasportate nelle capitali europee con passaporti falsi.
Lo sfruttamento sessuale in Italia e nel resto del mondo riguarda anche i bambini.
Sempre in Italia, secondo i dati riportati da Save the Children, il lavoro minorile coinvolge circa 260.000 persone sotto i 16 anni, 30.000 ragazzi fra i 14 e i 15 anni sono a rischio sfruttamento con conseguenze per la salute, la sicurezza e l’integrità morale. Il 46% di questi lavoratori minorenni sono femmine.
Nel mondo spesso vengono volutamente dimenticate tante tragedie umane, #BringBackOurGirls non deve soltanto commuoverci perché lo sdegno del momento è transitorio e in questa epoca di grandi clamori quotidiani, rischia di passare velocemente nel dimenticatoio. La conoscenza dei drammi, anche non lontani da noi, dovrebbe farci comprendere l’importanza di un lavoro globale sui diritti umani, nessuna vita vale più o meno di un’altra. Il lavoro da fare è immenso, ma non impossibile da realizzare, l’indignazione non è e non può essere una moda passeggera, ma un impegno costante che ci spinge al cambiamento.