Il 28 maggio 2013 è il quarantesimo anniversario di una delle stragi più terribili e misteriose compiute dall’estremismo neofasci sta, con la probabile complicità dei servizi segreti italiani, all’interno di una strategia della tensione che ha una data d’inizio convenzionale – l’eccidio di piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969 – e una di chiusura che viene continuamente spostata in avanti di fronte ad attentati sporadici ma che non sono ancora completamente finiti, pur dopo l’impazzare delle offensive terroristiche di vario colore che hanno insanguinato l’Italia fino alla metà degli anni ottanta.
La strage di piazza della Loggia è per molti aspetti esemplare. Viene compiuta al centro di una città industriale e prospera in quegli anni come Brescia in risposta a una manifestazione indetta dai sindacati e dal comitato antifascista cittadino con la presenza del sindacalista della CISL Franco Castrezzati, il deputato del PCI Adelio Terraroli e il segretario della Camera del Lavoro Gianni Panella. L’attentato provoca la morte di otto persone e il ferimento di altre centodue. La prima istruttoria porta alla condanna cinque anni dopo di alcuni esponenti dell’estrema destra bresciana. Uno di essi, Ermanno Buzzi, in carcere, viene strangolato il 13 aprile 1981 da Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. Nel giudizio di secondo grado, nel 1982, le condanne del giudizio di primo grado vennero commutate in assoluzioni, le quali a loro volta vennero commutate nel 1985 dalla Corte di Cassazione.
Un secondo filone di indagini, sorto nel 1984 per le confessioni e rivelazioni di alcuni pentiti, mise sotto accusa altri rappresentanti della destra estrema e si protrasse fino agli anni ottanta: gli imputati furono assolti in primo grado nel 1987 per insufficienza di prove e prosciolti in appello nel 1989 con formula piena. La Cassazione qualche mese dopo confermerà l’esito processuale dell’appello. Durante le indagini si è fatta largo l’ipotesi del coinvolgimento di rami dei servizi segreti e di apparati dello Stato. Una simile ricostruzione appare sostenuta da una lunga serie di circostanze inquietanti. Basti pensare in primo luogo all’ordine, proveniente da ambienti istituzionali non individuati, impartito meno di due ore dopo la strage affinchè una squadra di vigili del fuoco ripulisse con le autopompe i luogo dell’esplosione, spazzando via indizi, reperti e tracce di esplosivo prima che un magistrato o un perito potesse effettuare alcun sopralluogo o prelievo. In secondo luogo, la misteriosa scomparsa dell’insieme di reperti prelevati in ospedale dai corpi dei feriti e dei cadaveri, anch’essi di fondamentale importanza ai fini dell’indagine; infine, va segnalata la recente perizia antropologica ordinata dalla procura di Brescia su una fotografia di quel giorno che proverebbe la presenza sul luogo della strage di Maurizio Tramonte, collaboratore del SID e militante di Ordine Nuovo.
Gli intralci oscuri di provenienza istituzionale si manifestarono anche durante le indagini sul secondo troncone e saranno definiti dal giudice istruttore Zorzi quale ulteriore “riprova, se mai ce ne fosse bisogno, dell’esistenza di una rete di protezione (Ufficio Affari Riservati di D’Amato, ndr) pronta a scattare in qualunque momento e luogo. Nel 2008 si è svolta il terzo processo che ha rinviato a giudizio sei imputati principali: Delfo Zorzi (ormai irraggiungibile in quanto divenuto a tutti gli effetti cittadino giapponese), Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi. I primi tre militanti di spicco di Ordine Nuovo neofascista fondato nel 1956 da Pino Rauti e più volte oggetto di indagini per l’organizzazione e il compimento di stragi. Ordine Nuovo venne sciolto nel 1973 dal ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani. Francesco Delfino all’epoca capitano dei carabinieri a Brescia diverrà in seguito generale dell’Arma e Giovanni Maifredi era collaboratore del ministro degli Interni, Taviani. Gli imputati vengono assolti il 16 novembre 2010 dalla Corte di Assise di Brescia per insufficienza di prove. Due anni dopo la Corte di Assise di Appello conferma l’assoluzione per tutti gli imputati e condanna le parti civili al rimborso delle spese processuali. Così la strage di piazza della loggia di Brescia resta alla vigilia dei quarant’anni dal tragico episodio una strage senza colpevoli e senza spiegazioni compiute.