Sul lavoro le donne sono ancora discriminate, così come le persone disabili. E’ record di disoccupazione per la popolazione giovanile. Non decollano le opportunità lavorative per i detenuti
ROMA – In attesa del tanto sospirato “Jobs act”, il primo maggio sono numerose le persone che hanno poco da festeggiare. E’ una festa a metà, infatti, per disoccupati, per chi ha un lavoro in scadenza perché a tempo determinato, per quei giovani che non riescono proprio ad entrare nel circuito lavorativo, per moltissime donne. Ma è una festa a metà anche per quelle categorie di persone, come disabili o detenuti, che proprio nel lavoro potrebbero trovare un’importante occasione di riscatto e di integrazione. Ecco alcuni dati.
Record disoccupazione, soprattutto tra i giovani. Secondo l’Istat, a marzo i disoccupati 15-24enni sono 683 mila. L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,4%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese scorso e di 0,8 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 42,7%, sostanzialmente stabile rispetto al mese precedente ma in aumento di 3,1 punti nel confronto tendenziale.
A marzo il numero totale di disoccupati, pari a 3 milioni 248 mila, diminuisce dello 0,2% rispetto al mese precedente (-5 mila) ma aumenta del 6,4% su base annua (+194 mila). La disoccupazione resta quindi ai livelli massimi dall’inizio delle serie mensili (2004) e trimestrali (1977).
Carcere, lavoro sempre più frazionato. Poco più di tredicimila persone in carcere sono impegnate in attività lavorative (21% circa), di cui la maggioranza (11.579) alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. “Una percentuale decisamente bassa rispetto al passato, ma che sarebbe ancora più bassa se negli istituti non si ricorresse al frazionamento sempre maggiore dei posti di lavoro”, scrive l’Osservatorio di Antigone nel suo decimo rapporto sulle condizioni di detenzione. “Dove un tempo lavorava un detenuto – si aggiunge -, ricevendo un compenso dignitoso, oggi possibilmente lavorano in due, e spesso per periodi tempo molto brevi, in modo da dar spazio a rotazione a più detenuti possibile”. I detenuti che lavorano per datori esterni sono 882 in carcere e 1.266 fuori in semilibertà o in articolo 21, ma sono distribuiti in modo molto diseguale nel paese: il 39 per cento è in Lombardia, il 24,8 per cento in Veneto e il 10 per cento nel Lazio. “Nel resto del paese le aziende in carcere sono pressoché assenti”.
Eppure il lavoro è anche un vaccino contro la recidiva. Secondo i dati del Dap, se sono circa il 60 per cento i detenuti che tornano a delinquere, per quelli occupati mentre stavano scontando la pena, il rischio si dimezza (recidiva di circa il 30 per cento).
Donne ancora penalizzate. Secondo il Global gender gap report 2012, lo studio sulla disuguaglianza di genere a livello mondiale elaborato annualmente dal World economic forum, “l’Italia si colloca all’80° posto nella classifica planetaria della parità donna-uomo. La situazione di sudditanza della donna è palese in molti settori della vita quotidiana, con particolare riferimento al mondo del lavoro.
Secondo i dati sul divario retributivo di genere resi noti dalla Commissione Europea il 28 febbraio, le donne continuano a lavorare 59 giorni a salario zero.
In alcuni paesi, come l’Italia, l’Ungheria, il Portogallo, l’Estonia, la Bulgaria, l’Irlanda e la Spagna, il divario retributivo tra i sessi è aumentato negli ultimi anni. La tendenza al ribasso può dipendere da alcuni fattori, come l’aumento della percentuale di lavoratrici con un più elevato livello di istruzione e l’impatto della recessione economica, che è stato più forte in alcuni settori a prevalente manodopera maschile (edilizia, ingegneria). Questo significa che il lieve livellamento non è imputabile esclusivamente ad aumenti della retribuzione femminile o a un miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne.
Non solo, secondo il rapporto “Noi Italia” dell’Istat, nel 2012 risultano occupate sei persone su 10 in età 20-64 anni, con un forte squilibrio di genere a sfavore delle donne. Il 13,8 per cento dei dipendenti ha un contratto a termine, valore sostanzialmente analogo alla media europea. La quota di occupati a tempo parziale è pari al 17,1 per cento. Entrambe le tipologie contrattuali sono più diffuse tra le donne. Il tasso di inattività è al 36,3 per cento. Pur segnando una riduzione significativa rispetto al 2011, si conferma tra i più elevati d’Europa. L’inattività femminile rimane molto ampia (46,5 per cento), nonostante la forte contrazione rispetto al passato.
Infine le attività domestiche, che per il 70% gravano sulle spalle delle donne (204 minuti al giorno contro i 57 maschili).
Il lavoro dei disabili. L’84% dei disabili italiani non riesce a trovare un lavoro. Nelle liste di collocamento ce ne sono al momento 750 mila, mentre la maggior parte delle aziende preferisce pagare penali che arrivano a 57 euro al giorno piuttosto che ottemperare alla legge 68 del 1999, che ne regola l’inserimento lavorativo. Per questo, la Commissione europea sta valutando la possibilità di aprire una nuova procedura di infrazione nei nostri confronti, dopo quella del luglio 2013. E dei tanti disabili che restano a casa, la quasi totalità è donna.