di Fabio Angioletti
TRIESTE – Un’altra settimana all’insegna della volatilità per Piazza Affari che, dopo aver lasciato sul terreno il 4,4% tra il 7 e l’11 aprile, nell’ottava conclusasi giovedì scorso ha registrato un progresso dell’1,96%, che ha riportato la performance da inizio anno ad un rispettabile +13,95% nonostante l’evoluzione della crisi in Ucraina abbia innervosito i mercati.
L’escalation militare tra Mosca e Kiev stava avvicinando rapidamente l’applicazione di sanzioni economiche (limitazioni nel commercio e negli scambi finanziari) da parte di UE ed Usa verso la Russia che, da parte propria, si sarebbe sentita legittimata a reagire con una stretta sulle forniture energetiche (soprattutto gas, dal quale Germania ed Italia sono fortemente dipendenti), contribuendo a rendere sempre più incerto uno scenario che i mercati avrebbero mal digerito, già intenti a spostare la liquidità su asset rifugio come i titoli di Stato Usa (tresauries) o lo yen giapponese. Per contro il tonfo dell’indice Micex della Borsa di Mosca ed il nuovo forte calo del rublo sul dollaro, a cui si deve aggiungere l’impennata dei CDS (Credit Default Swap, derivati che funzionano come polizze di assicurazione sul default) sulla Russia (+47% da inizio anno), sottolineano il clima di sfiducia con cui deve confrontarsi il Cremlino.
Uno scenario così fragile e complesso da spingere le diplomazie a muovere i primi passi concreti per ridurre le tensioni che assediavano i protagonisti del summit di Ginevra, portando Russia, Ucraina, Unione Europea e Stati Uniti alla firma di un documento in cui si prevede la smobilitazione delle milizie, l’abbandono degli edifici governativi occupati e la promessa di amnistia per i separatisti, la definizione di un programma di riforme politiche.
A causa della loro offerta di rendimenti relativamente appetibili ed azioni sottovalutate, i paesi dell’Europa periferica, inclusa l’Italia, stanno beneficiando dell’enorme flusso di denaro che si sta spostando in cerca di porti sicuri, guidato dall’opportunismo e dalle logiche di breve termine: è la speculazione che scommette sul “quantitative easing” della BCE (Banca Centrale Europea) e sulla speranza che la crescita economica si consolidi. Dall’estate di quattro anni fa, quando la crisi era al suo apice e Grecia, Irlanda e Portogallo ricorrevano agli aiuti finanziari di UE e FMI (Fondo Monetario Internazionale) mentre Spagna ed Italia avviavano percorsi di riforma fiscale e strutturale ancora in corso, la Zona Euro è uscita del dalla crisi del debito sovrano ed ora i mercati hanno fiducia sul fatto che il programma OMT (Outright Monetary Transactions, acquisto diretto da parte della BCE di titoli di Stato a breve termine) dell’Eurotower possa rappresentare una protezione: i listini azionari hanno accelerato e gli spread del reddito fisso si sono ristretti grazie al miglioramento dei funding markets per banche e Stati. La periferia dell’Eurozona finora ha vinto molte battaglie, alcune sul fronte politico ed altre sul fronte delle riforme istituzionali, anche se per vincere la guerra alla crisi sarà fondamentale il rilancio dell’occupazione e della domanda interna.
Le preoccupazioni che affliggono l’Europa sono le stesse condivise dall’America, come confermato dalle parole di Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, all’Economic Club di New York: «Più a lungo l’occupazione e l’inflazione resteranno lontane dai loro obiettivi, più a lungo l’attuale livello dei tassi sarà mantenuto. Questo approccio mette in evidenza l’impegno continuo della Fed a una politica monetaria accomodante a sostegno della ripresa». In realtà la vera apprensione è costituita dall’aumento dei prezzi, che pur muovendosi gradualmente verso il 2% ha maggiori probabilità di mantenersi al di sotto di questo limite piuttosto che riuscire a superarlo.
Nel frattempo la Banca d’Italia comunica che il debito pubblico ha toccato un nuovo massimo storico pari a 2.107 miliardi di euro, a marzo l’inflazione frena ancora: in soli cinque mesi la crescita dei prezzi si è dimezzata, attestandosi ad uno 0,4% che segna il minimo dall’ottobre 2009. Le fanno eco i corrispondenti dati relativi alla UE-18: inflazione in calo allo 0,5% a marzo, con tassi negativi registrati a Cipro ed in Grecia, Svezia, Portogallo, Spagna, Croazia, Slovacchia e Bulgaria.
La crisi in Ucraina ha imposto il proprio pesante tributo anche alle attese sulla congiuntura economica, tanto che l’indice ZEW, che misura le aspettative degli analisti sullo sviluppo dell’economia in Germania nell’arco dei sei mesi futuri, ad aprile è sceso di ben 3,4 punti, quarto calo consecutivo.
Capitolo disoccupazione: mentre in Gran Bretagna scende sotto la fatidica soglia del 7%, ossia quella fissata dalla Banca d’Inghilterra per avviare la stretta sui tassi di interesse (ora fermi al minimo storico dello 0,5%), nel quarto trimestre del 2013 gli occupati nel Belpaese scendono al 55,5%, circa 10 punti più in basso della media dell’area OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
Nel frattempo il Parlamento europeo ha approvato i tre testi legislativi che introducono le regole sul “bail-in”, sulla risoluzione delle crisi bancarie e sulle garanzie armonizzate sui depositi, aprendo di fatto alla partenza dell’Unione Bancaria: la principale novità consiste nella definizione della gerarchia di chi paga per la crisi di una banca, finalizzata all’esclusione della partecipazione dei contribuenti e spezzare così il legame tra crisi delle banche e degli Stati.
L’approssimarsi delle festività pasquali ha coinciso con una giornata a mezzo servizio per buona parte delle Borse mondiali, mentre Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Hong Kong, Singapore, Australia e Piazza Affari non apriranno i battenti venerdì 18 e lunedì 21 aprile. Giovedì scorso seduta positiva per i listini asiatici, trainati dai positivi dati macro americani, mentre le Borse cinesi hanno chiuso contrastate con le perdite del settore energetico compensate dai guadagni dei titoli tecnologici: Shanghai (-0,30%) ha chiuso in calo quasi quanto Hong Kong (+0,33%) è salita, mentre a Tokyo l’indice Nikkei è rimasto praticamente invariato.
Avvio cauto per le Borse di Eurolandia in una seduta proseguita con il segno meno, condizionata soprattutto da alcune trimestrali al di sotto delle attese; l’atteggiamento prudente degli operatori è stato influenzato anche dalle tensioni politiche in Ucraina ma, approfittando del traino di Wall Street e dei buoni dati del settore automobilistico, chiusura generalmente positiva: Madrid (+0,24%), Parigi (+0,59%), Londra (+0,62%), Francoforte (+0,99%).
Milano ha aperto in calo a seguito delle difficoltà patite dai titoli delle banche popolari, mentre al giro di boa è la debolezza di Telecom a non convincere gli operatori; in chiusura variazione poco marcata per Piazza Affari (FTSE Mib +0,37%, FTSE Italia All Share +0,4%).
Bancari tra alti e bassi: rialzo per Monte dei Paschi di Siena (+2,86%) che il 18 aprile terrà consiglio di amministrazione per esaminare nuovamente il progetto di aumento del capitale, debole Unicredit (-0,23%) mentre la controllata FinecoBank ha presentato domanda di ammissione a Borsa Italiana. Bene Mediaset e debole seduta di Telecom (invariata), all’indomani della lunga assemblea dei soci che ha eletto il nuovo consiglio di amministrazione; Fiat Chrysler è salita dell’1,16%, la cui quota di mercato europea è scesa al 5,7%.
Sul fronte del debito sovrano lo spread, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza, ha chiuso a 160 Bp (Basis point, punti base), per una resa del decennale italiano pari al 3,12%. Il differenziale tra i titoli a dieci anni di Spagna e Germania termina invece a 156 Bp, con il tasso dei Bonos al 3,08%.
Concludiamo con i risultati definitivi comunicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze riguardo la sesta emissione del BTP Italia: il bond con scadenza a 6 anni indicizzato all’inflazione italiana ha raccolto 20,56 miliardi di euro, per un tasso cedolare (reale) annuo definitivo, pari a 1,65%, pagato in due cedole semestrali.
Da dazebao.it