Tre interrogativi sui giornali di stamani. Se Papa Francesco sia o no comunista. Quanto aiuterà l’Italia la guerra “non convenzionale” alla deflazione annunciata da Draghi. Se il sistema sia bloccato “dall’alterigia, intolleranza e presunzione” di professori e sinistra e se Renzi sia, finalmente, in procinto di liberarsi dell’una e degli altri.
Cominciamo dall’economia. Repubblica intervista Poletti e annuncia: “Un piano lavoro per 900mila giovani”. I nuovi contratti avranno “tutele crescenti”, fino a diventare contratti a tempo indeterminato e, quanto alle “coperture”, Renzi avrebbe dato garanzie a Napolitano. Quali? Il Foglio spiega che, qualora il ciclo restasse negativo, l’Unione Europea ci autorizzerebbe a non ridurre per il momento il debito (cioè a non pagare la rata prevista dal “fiscal compact”). Se invece le cose migliorassero, in cambio della riduzione dal debito ci lascerebbero un certo margine di tolleranza quanto al parametro del 3 per cento per il deficit.
Il Corriere titola: “L’arma di Draghi: mille miliardi”. La BCE fa trapelare l’intenzione di acquistare Bond e subito il differenziale di rendimento tra i nostri titoli e e quelli tedeschi scende all’1,6%. Se continuasse così – scrive Dino Pesole sul Sole24Ore – l’Italia risparmierebbe 2 miliardi e mezzo di minori interessi l’anno prossimo. Buone notizie a condizioni che il governo governi: burocrazia, corruzione, assenza di una politica industriale -vedi il caso Micron – hanno vanificato, nel passato, parecchie occasioni.
“Per chi vota il Papa”. Il Giornale afferra la risposta del Papa a un giornale di ragazzi belgi e la traduce così: “Non sono comunista”. Poi spiega ai tonti: “Con i poveri, non con la sinistra. Francesco delude i radical chic”, i quali rispondono con Adriano Sofri, su Repubblica. Scherzo! In realtà Adriano, che è persona seria e di buone letture, nell’articolo dal titolo “Papa Francesco, il comunismo e Dio”, spiega quanto sia ambizioso il proposito del Papa di “prendere sul serio il Vangelo”, abbandonando l’antica pratica di “disinnescarne la carica rivoluzionaria per governare il compromesso col mondo”.
In verità credo che questo Papa consideri Il liberismo reaganiano, “arricchitevi, qualcosa finirà anche nelle tasche dei poveri”, come un sogno ingannatore che rischia di confondere e di perdere il gregge cattolico. Perché promette un arricchimento che l’Occidente non può più garantire. Perché propone un modello di consumo sfrenatamente individuale e rende mercantile ogni rapporto umano. Francesco, invece, insiste sulla metafora del “pane sporco”: chi porta ai figli il frutto della corruzione o delle tangenti, così li corrompe”. Il Papa detesta, evangelicamente, i politici, perché interpretano “la teologia delle necessità”, giustificano cioè la sperequazione dei redditi con le leggi dell’economia, l’ingiustizia verso i poveri con l’autorità dello Stato, invece di accogliere la “dialettica della libertà”, insita nel gesto dello “spezzare il pane” o in quelle semplici parole “permesso, scusi, grazie”. Non è marxista il Papa, ma vuole per la Chiesa uno stile più sobrio e propone ai fedeli modelli di vita e di consumo comunitari, un’abbondanza più sostenibile.
Last but not least, La Stampa titola “Riforme, asse Renzi Napolitano”. E Luca Ricolfi spiega che “con Renzi viene finalmente al pettine il nodo del conservatorismo italiano, una sindrome che affligge il paese da almeno trent’anni e che ha caratterizzato, ormai possiamo dirlo, anche la sinistra”. Poi loda la “giovanile spensieratezza” con cui Maria Elena Boschi critica “quei professori – Rodotà, Zagrebelsky – che “con continue prese di posizione” avrebbero “bloccato le riforme”. Ho pubblicato la risposta di Rodotà al ministro. Aggiungo che per la mia quota parte – sono uno dei 22 senatori eletti dal Pd che hanno firmato il disegno di legge costituzionale Chiti – non mi considero affatto un nemico delle riforme istituzionali. Al contrario vorrei che Renzi e Boschi non le facessero per finta, varando provvedimenti senza fiato, da cui traspare una furbizia tutta politica. L’intento di offrire un salvagente temporaneo a Berlusconi, per poi batterlo comodamente. Di rubare la scena a Grillo agitando davanti alle tricoteuses lo scalpo (finto perché in realtà non lo si abolisce) del Senato. Di usare il promoveatur ut amoveatur, portando a Roma Sindaci e Presidenti di Regione,come il Re Sole i nobili a Versailles, perché contino meno.
Vediamo. Il Disegno di Legge che ho sottoscritto prevede la metà degli attuali parlamentari. Fiducia, leggi di bilancio, scelte politica solo Camera. 100 senatori eletti con i consigli regionali che abbiano diritto di parola su leggi costituzionali, elettorali e diritti della persona. Non è riforma, questa? Assumiamo che abbiano ragione i professoroni e i grandi giornalisti pro Renzi e che, cioè, non sia utile eleggere direttamente il Senato se gli si vuole togliere la fiducia. Allora aboliamo davvero il Senato (resta la conferenza stato regioni), ma eleggiamo la Camera con una legge proporzionale, magari con sbarramento al 5 per cento, come in Germania. Una sola camera sia, ma almeno rappresentativa.
Nemmeno questo va bene? Renzi crede che gli elettori non siano così maturi da garantire la governabilità? D’accordo, lasciamo il sistema maggioritario doppio turno, magari con i collegi uninominali, ma senza lo sproposito delle 3 soglie di sbarramento e del premio al 37% al primo turno (su questo Ceccanti e Barbera dovrebbero pensarla come me). E facciamo eleggere i senatori, come in Francia, da tutti i consiglieri regionali comunali e circoscrizionali d’Italia. Tutto, tranne che il parto deforme di una legge elettorale, Verdini (per dare a Berlusconi l’illusione di poter ancora montare una coalizione insincera e vincere) e di un Senato, immaginato da amministratori Pd (Del Rio & Company), per mettere la corda al collo a Sindaci e Presidenti di Regione.