Quello che sta accadendo in queste settimane lo immaginavamo dall’avvio di stupro dell’art. 138 Cost., la norma-lucchetto che rende la nostra Costituzione rigida e revisionabile con un procedimento molto complesso, che prevede che le modifiche siano “adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”, fino a giungere al referendum costituzionale nei tre mesi successivi all’eventuale approvazione, chiesto da cinque Consigli Regionali o da cinquecentomila elettori/trici.
Ma il tentativo in atto di stravolgere gli assetti parlamentari avviene nel pieno rispetto del penultimo articolo della Costituzione.
Il primo passaggio è stato l’approvazione, per ora alla Camera, di un testo di riforma della legge elettorale che innanzitutto da per scontato che un Senato elettivo non esisterà più. Un mettere il carro davanti ai buoi che ignora l’esistenza in natura dell’iter previsto dalla Costituzione per l’approvazione delle leggi.
Del fatto che il testo passato in aula sia ben peggiorativo della legge Calderoli, abbiamo già parlato e scritto a lungo: non si tiene affatto conto della sentenza n. 1/2014 del Giudice delle Leggi, che asserisce che la legge elettorale deve essere “coerente con i conferenti principi sanciti dalla Costituzione ed in specie con il principio di eguaglianza inteso come principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., e con il vincolo del voto personale, eguale, libero e diretto (artt. 48, 56 e 58 Cost.), in linea, peraltro, con una consolidata tradizione costituzionale comune a molti Stati.” ; ignorata l’asserzione che “ l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi, trasformando una maggioranza relativa di voti (potenzialmente anche molto modesta) in una maggioranza assoluta di seggi, determinerebbero irragionevolmente una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica”: basta il 37% dei voti per avere il 55% dei seggi, ben 340; ignorata la statuizione della Corte che “le disposizioni censurate, nello stabilire che il voto espresso dall’elettore, destinato a determinare per intero la composizione della Camera e del Senato, è un voto per la scelta della lista, escludono ogni facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall’ordine di presentazione dei candidati nella stessa, ordine di presentazione che è sostanzialmente deciso dai partiti.” : rimangono le liste bloccate, pur se corte, con 120 collegi nazionali; anche le soglie di sbarramento restano alte. Una coalizione deve raggiungere almeno il 12% per accedere alla ripartizione dei seggi, 4,5% per i partiti interni, che fanno un’oblazione agli altri se non raggiungono questa soglia. Per le liste che non si coalizzano soglia addirittura all’8%; ignorata, inoltre, la giurisprudenza amministrativa consolidatasi negli anni che vuole precettivo l’art. 51 Cost. sul principio delle pari opportunità, ignorata sia l’alternanza di genere in caso di liste bloccate, sia la doppia preferenza di genere, il modo più opportuno di armonizzare l’art. 48 con l’art. 51 Cost., che la sentenza n. 4/2010 della Corte costituzionale ha ritenuto legittimo a proposito della legge elettorale regionale campana, che ha portato alla legge n. 215/2012 sulla doppia preferenza di genere per il voto negli enti locali e che ha portato e sta portando a molte leggi regionali che applicano questo sistema; di disposizioni, poi, che disciplinino il conflitto di interessi neppure l’ombra.
Negli ultimi giorni invece il Governo Renzi ci propina un Senato così composto, come asserito nella proposta di modifica dell’art. 57 Cost.”Il Senato delle Autonomie è composto dai Presidenti delle Giunte regionali, dai Presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano, dai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione e di Provincia autonoma, nonché, per ciascuna Regione, da due membri eletti, con voto limitato, i propri componenti e da due sindaci eletti, con voto limitato, da un collegio elettorale costituito dai sindaci della Regione. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle Istituzioni territoriali nelle quali sono stati eletti. La legge disciplina il sistema di elezione dei senatori e la loro sostituzione, entro sessanta giorni, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. Ventuno cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario, possono essere nominati senatori dal Presidente della Repubblica. Tali membri durano in carica sette anni.”
Bene, sono anni che sosteniamo che ii bicameralismo perfetto produce elefantiasi parlamentare e molto altro ancora, ma questo non ha nulla a che fare con lo stravolgimento dell’impianto costituzionale, proponendo al Parlamento, e nuovamente con un accordo fuori dai binari parlamentari, un Senato con rappresentanti territoriali che prescindono dalla popolazione degli Enti che esprimono i/le componenti il Senato e che legiferano su questioni su cui non sono stati/e chiamati/e al voto. Non parliamo poi delle ventuno nomine discrezionali del Presidente della Repubblica, di durata addirittura settennale. Su 148 eligendi, è un numero davvero pesante ed in grado di condizionare in maniera non elettiva i processi decisionali.
L’interfaccia di questa nuova ipotizzata composizione del Parlamento è la riattribuzione delle funzioni rispetto ai poteri Stato – Regione. La proposta di riforma dell’art. 117 Cost. recita: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie e funzioni: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;” Orbene, se non è affatto campato in aria riaffidare materie di importanza strategica (per esempio la salute e l’ordinamento scolastico) allo Stato, ci domandiamo quali potrebbero essere le ripercussioni sul ruolo delle assemblee elettive regionali.
Insomma, bisogna dare alle cose il loro giusto nome e questa ipotesi di riforma non può che essere definita autoritaria e populista, da contrastare con ogni iniziativa democratica e di relazioni possibili.