Nomine sì ma anche no. Renzi ha deciso di persona, dopo aver ascoltato tutti, Napolitano, i boiardi che volevano la conferma, gli ambasciatori in cerca di un posto al sole. Ha scelto alcune donne, Marcegaglia, Todini, Grieco, ma nel ruolo meno operativo del presidente, di Eni, Poste, ed Enel.
“La pietanza più saporita – scrive Alberto Statera per Repubblica – è il siluramento di Paolo Scaroni, che dopo tre mandati da amministratore delegato dell’Eni ha fatto carte false per essere riconfermato o almeno per trasferirsi alla presidenza”. Ma al posto di Scaroni arriva un candidato interno e suo stretto collaboratore: Claudio De Scalzi. È vero che più che della Russia e di Putin De Scalzi si era occupato di Africa, dove Eni compete coi cinesi, ed è vero pure che Massimo Mucchetti, sul Corriere, non esclude che la nuova gestione, Marcegaglia-De Scalzi, sia disposta “ad aprire i cassetti” dell’azienda italiana, che, per dirla con Renzi, “fa intelligence” (per l’Italia?) nel mondo.
Ma a Finmeccanica, De Gennaro resta come Presidente, e Moretti, nonostante la smorfia di disgusto con cui aveva disapprovato il tetto agli stipendi dei manager pubblici, lascia Ferrovie, dove ha realizzato il progetto non suo dell’alta velocità ma ridotto alla disperazione viaggiatori non abbienti e pendolari, e viene promosso Amministratore Delegato della società pubblica che ancora ha in pancia un po’ di industria nazionale. “La triste verità – scrive Rizzo per il Corriere – è la generale povertà della nostra classe manageriale…ecco allora che si finisce per avvicendare i vecchi amministratori con maturi dirigenti interni”. Di Moretti, Rizzo sottolinea come sia “alla quinta nomina consecutiva da A.D” e come sia stato molto sostenuto da Massimo D’Alema”. Il “rottamatore” deve essersi distratto.
E tuttavia la parziale innovazione nella pratica delle nomine deve aver convinto Berlusconi a rompere gli indugi, a chiedere e ottenere un incontro immediato a Palazzo Chigi. “Era nervoso”, chiosa Del Rio, variante compunta di uno #staiserenoSilvio. “Berlusconi-Renzi atto secondo”, titola invece in pompa magna il Giornale. Per l’ex Caimano, il patto con Renzi resta l’ultima stampella. Se capisco un po’, Renzi gli avrà chiesto di far votare subito ai suoi il Senato dei sindaci e dei governatori voluto dalla Boschi. Promettendogli comprensione, dopo il 25 maggio, sulla legge elettorale. Ora la domanda è: Forza Italia, davanti all’evidente declino del Capo, “crollerà come un castello di carte”, come prevede (intervista a Repubblica) Urbani? E si sfalderà prima delle europee, nel voto sul Senato (Romani ha detto di preferire il disegno di legge Chiti), oppure dopo, davanti a risultati elettorali che si annunciano infausti?
Infine Grillo. Se c’è ancora del buon senso, se la rabbia resta ancora impastata con un qualche senso della decenza, dovrebbero consigliargli una doccia fredda e un po’ di silenzio, quelli che lo amano o che lo seguono. Ieri, in un solo post, è riuscito a banalizzare la Shoah, scrivendo P2 sul cancello della morte all’ingresso del campo di Auschwitz. È riuscito a sfregiare la memoria di Primo Levi, usando “Se questo è un uomo” per sfogare il suo livore contro Renzi, Napolitano, il Pd. Ed è riuscito a scrivere bestialità mafiose sulla mafia. Perché gridare senza senso, come fa Grillo, che tutti sono mafiosi è come dire che nessuno è mafioso. Fanno tutti schifo è il grido preferito dai picciotti di Cosa Nostra. “Se questo è Grillo” titola il Fatto e Padellaro parla di “autogol”. “Oscenità”, la definiscono le comunità ebraiche.