Venti aprile 2014. Mentre su «La Padania» è stampato in grandi caratteri il titolo «L’allarme ebola», tra le pagine de «L’Avvenire» si legge l’opposto: «Immigrati, nuovi sbarchi e un falso allarme Ebola».
Occorre fare un passo indietro per ricordare gli sviluppi della vicenda.
I fatti. Il 3 aprile il ministero della Sanità francese allerta gli ospedali nazionali su possibili casi di Ebola. Il 4 aprile il ministero della Salute italiano, sulla scia di quanto fatto oltralpe, emette una circolare in cui raccomanda di «adottare ogni utile azione di vigilanza in riferimento ad arrivi diretti o indiretti» dai paesi dell’Africa occidentale (Guinea, Liberia, Sierra Leone, Mali) dove è stata riscontrata la presenza del virus Ebola «per casi che presentino sintomi riconducibili alla malattia in atto». L’8 aprile il Ministero aggiorna la circolare.
Il 10 aprile nel porto di Pozzallo su disposizione della Direzione centrale dell’Immigrazione giungono migranti di varie nazionalità soccorsi da un mercantile nelle acque internazionali dove erano arrivati a bordo di una barca fatiscente. Tra questi un giovane del Mali accusa un malore ed è portato nell’ospedale di Ragusa dove muore meno di 24 ore dopo. La prassi prevede la disposizione dell’autopsia. È l’11 aprile e su blog e social network inizia a farsi strada la voce falsa che un migrante sia morto a causa dell’Ebola. Il ministero della Salute interviene subito con un comunicato ufficiale dal titolo eloquente «Virus Ebola, nessun rischio per l’Italia», chiarendo che con le precedenti circolari «pur in presenza di un rischio remoto di importazione dell’infezione il ministero della Salute italiano ha dato per tempo disposizioni per il rafforzamento delle misure di sorveglianza nei punti di ingresso internazionali». Questo documento ribadisce che «l’Oms non raccomanda restrizioni di viaggi e movimenti di persone, mezzi di trasporto e merci» e, come i precedenti, può essere consultato da chiunque lo desideri sul sito www.salute.gov. Sul web, però, continuano a girare informazioni distorte.
Il 15 aprile la Polizia di Stato comunica di aver disposto il fermo di due uomini ritenuti responsabili non solo dell’ingresso dei migranti irregolari sbarcati a Pozzallo il 10 aprile, ma anche del decesso del giovane, avvenuto «in conseguenza delle disumane condizioni del viaggio fatte affrontare ai migranti». Dai racconti emerge, infatti, che i migranti sono stati tenuti segregati per 15 giorni in un capannone il Libia, in attesa della partenza in mare. Il risultato dell’autopsia è ancora atteso, ma nessuna delle dichiarazioni rilasciate allude in alcun modo al virus dell’Ebola.
Il 19 aprile Carlo Fidanza, capogruppo di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, presenta un’interrogazione alla Commissione chiedendo quali misure intenda prendere per aiutare l’Italia a scongiurare il pericolo Ebola, dal momento che «si teme un arrivo del contagio tramite questa immigrazione clandestina selvaggia» e che «Già ora gli immigrati clandestini che arrivano, spesso sono malati di scabbia o altre malattie e vengono mandati in giro per l’Italia mettendo a rischio la salute delle popolazioni locali».
Se gli sbarchi non bastano più. Arriviamo così al 20 aprile, giorno in cui vengono pubblicati i pezzi citati all’inizio. Entrambi pubblicati l’indomani dell’interrogazione parlamentare europea di Fratelli d’Italia; entrambi parlano di sbarchi. “Un immigrato è morto e cinquanta sono in quarantena dopo un sospetto contagio di ebola a bordo di un barcone arrivato dall’Africa in Sicilia: cos’altro deve accadere prima che il governo fermi gli sbarchi?». A porre questa domanda sulla base di fatti infondati è Souad Sbai, ex parlamentare del Pdl, nell’articolo firmato da Alessandro Bonini e pubblicato da «La Padania». Alla data di pubblicazione le testate giornalistiche dovrebbero da tempo aver recepito le dichiarazioni del ministero della Salute, essere a conoscenza dei fatti di Pozzallo e aver messo fine alla speculazione sul pericolo Ebola. Dovrebbero. Non lo fanno quando entra in campo la strumentalizzazione politica: se non è più sufficiente annunciare l’arrivo di sbarchi, reali o ingigantiti, per creare allarmismo tra l’opinione pubblica, occorre andare oltre e inserire un elemento diverso, capace di generare paura nel lettore-elettore. Così «La Padania» sceglie di ignorare volontariamente i pareri di Oms e ministero della Salute – ai quali non fa riferimento neppure una volta nell’articolo – e di dare evidenza a un’unica opinione personale, quella di Souad Sbai, secondo la quale «i rischi di contagio sono elevatissimi» e che ben si sposa con la battaglia politica del “basta al Marenostrum” gridato in questi giorni da personaggi di spicco del Pdl e della Lega Nord.
Il filo diretto tra la politica e la “bufala” della malattia mortale diffusa dai migranti non è passato inosservato ad Alessandra Turrisi, che quello stesso 20 aprile per «L’Avvenire» scrive: «nell’Italia impegnata nei salvataggi in alto mare, affinché venga ridotto al minimo il rischio di naufragi, comincia a serpeggiare la paura, seminata ad arte periodicamente, della diffusione di nuove malattie portate proprio dai migranti. Stavolta, ad agitare lo spettro del virus Ebola, proprio alla vigilia di Pasqua, è una precisa parte politica». «L’Avvenire» in questo pezzo parla, sì, di sbarchi, ma di quelli descritti da numeri e azioni riscontrabili e per farli emergere decide di sgonfiare il “caso Ebola”.
«Abissi spaventosi quelli che sa toccare la peggiore politica», commenta Gianluigi Pellegrino («La Repubblica», 22 aprile), esprimendo un pensiero condiviso dall’associazione Carta di Roma. E prosegue: «A prenderli sul serio fanno paura Salvini e Gasparri che urlano “adesso basta soccorsi” ben sapendo di solleticare istinti diffusi in un popolo sempre incline a cercare nemici e per lo più fiaccato dalla crisi che tutti arrabbia e inaridisce. […] Ovviamente cosa del tutto diversa è pretendere che l’Europa non ci lasci soli a difendere una frontiera che è continentale. Ed ancora diverso è proporre misure di prevenzione e solidarietà alternative allo spiegamento di forze della Marina militare».
Della questione sbarchi è giusto e doveroso parlare. Non lo è più quando viene alterata e trasformata in un’arma per servire scopi politici individuali.
Martina Chichi