Ma com’è telegenico, Matteo Salvini, quando ringhia all’euro: la mimica è il suo forte, ammettiamolo. Storce la bocca in un ghigno da cattivo dei fumetti, che in realtà vuole esprimere nel modo più intellegibile possibile l’ira funesta del buon popolano padano angariato dalla perfida moneta dei poteri forti di Bruxelles (città tecnocratica che, pure, lui, il popolano, frequenta da una legislatura, pare con non troppo spirito stakanovista). “Euro criminale!”, sibila schifato e indignato in favore di telecamera, ricorrendo ad un epiteto inequivocabile come la sua espressione facciale, quella di uno che è al limite della sopportazione tanto da arrochire la voce e, soprattutto, da prodursi in smorfie di esasperata ripugnanza. La bocca storta è, per il teleutente di bocca buona, la prova somatica di quanto spietata sia l’odiata divisa europea, capace anche di deformare i lineamenti. Alterazione espressiva funzionale alla rimozione pre-elettorale di un piccolo dettaglio politico: lo schifato Salvini è il segretario di un partito, la Lega Nord, che ha governato l’Italia, dopo l’introduzione dell’euro, dal 2001 al 2006, e dal 2008 al 2011. Oggi lui chiede voti per uscire dalla moneta continentale ma mai, in tutti quegli anni di governo, i ministri leghisti, fra una performance pittoresca e un raglio xenofobo, avevano intrapreso azioni politiche concrete per il ritorno alla lira. Come mai? Sarà mica perché in realtà non si può e perché in realtà non conviene? Sarà mica che oggi il Carroccio salta sul carro di Marine Le Pen perché lisciare strumentalmente il pelo ai tanti colpiti dalla crisi, con una ricetta facile impossibile, giova elettoralmente? Bisognerebbe chiederglielo, allo schifato Salvini. Ma magari rispondere argomentando, con la bocca storta, è difficile.