Era l’unico mass media ancora libero, ma ora è destinato a dover indossare la museruola putiniana. Internet in Russia da ora in poi sarà messo sotto controllo. Il presidente russo sfrutta così l’ondata di popolarità nazionalista derivante dalla crisi ucraina per mettere sotto controllo l’unica piattaforma dalla quale arrivavano ancora critiche al regime, l’ultimo baluardo di libertà nelle mani dell’opposizione (tra i cui leader, non a caso, c’è un blogger, Navalny, ora agli arresti domiciliari, ma a rischio galera). Vladimir Putin (che avrebbe dovuto essere uno degli insegnanti dell’abortita Università del pensiero liberale di Villa Gernetto) cavalca l’onnipresente onda propagandistica dell’antiterrorismo per porre sotto il controllo statale la Rete.
Era già successo dopo il sanguinoso rapimento di bambini in una scuola di Beslan. Il terribile atto terroristico aveva infatti dato il là a Putin per abolire le elezioni dei presidenti di regioni, province e principali città (avocate a nomina diretta del Cremlino, in base solo ad accertata fedeltà al regime). Ora la Duma prende a pretesto l’attentato di dicembre a Volgograd per porre una serie di paletti al web.
Da ora in poi tutte le grandi società internet (molte delle quali americane, peraltro) dovranno conservare per sei mesi tutti i messaggi degli utenti e dovranno avere server direttamente sul territorio russo. Un modo per verificare gli IP di terroristi, ovviamente. Ma anche e soprattutto chi osa criticare Putin e la sua politica imperiale. Se i colossi di internet si rifiuteranno, potrebbero essere oscurate (sul modello della Turchia di Erdogan). Qualunque blog russo con più di 30mila contatti dovrà da ora in poi essere registrata come testata. E sottostare quindi ad altre rigide regole.
Il clima che si respira a Mosca e dintorni è risultato chiaro dalla fuga (sembra in Germania) di Pavel Durov, giovane programmatore russo, divenuto milionario grazie all’invenzione di VKontakte, il Facebook russo con 40 milioni di iscritti. Pochi giorni fa, dopo essersi rifiutato di collaborare coi servizi segreti (l’Fsb, erede diretto del Kgb) ha dovuto – dopo essere stato licenziato – vendere la sua creatura a due oligarchi vicini a Putin. Non aveva voluto fornire le informazioni personali degli oppositori al regime (che grazie alla Rete hanno organizzato una serie di manifestazioni di protesta e hanno raccontato le enormi ricchezze di Putin e del suo cerchio magico). E così ha dovuto riparare all’estero.
“Il Paese è incompatibile con il business internet al momento», ha detto Durov, classe 1994, lasciando la Russia dove annuncia di non volere più tornare. Ma è qualunque forma di economia indipendente che è sotto attacco nell’ex paese dei Soviet. Dopo Khodorkovsky (graziato dopo 10 anni di carcere) riparato in Svizzera, ora è la volta di un pioniere del web. La Borsa di Mosca ha perso il 6 per cento dall’inizio della crisi in Crimea. La fuga di capitali occidentali potrebbe spaventare il regime putiniano? Forse sì. Sicuramente più delle improbabili sanzioni imposte finora dall’Unione europea.