L’allarmante crescita della “corruttibilità” della classe dirigente determina una sempre più stretta relazione tra le attività criminose e la politica, garantisce una maggiore forza della mafia rispetto allo Stato e rende la sua definitiva sconfitta sempre più lontana. Questi i principali risultati dell’indagine sulla percezione mafiosa condotta dal Centro Studi Pio La Torre che ha coinvolto 1126 studenti di 94 scuole distribuite sul tutto territorio italiano e gli allievi di alcune scuole tedesche. L’indagine, giunta all’ottavo anno, sarà discussa giovedì 17 aprile alle ore 10 a Roma, presso la Sala della Mercede di Palazzo Marini, alla Camera dei Deputati. Alla presentazione interverrà il presidente della Commissione Nazionale Antimafia, Rosy Bindi e i ricercatori del Centro Pio La Torre. I risultati sono interamente consultabili nel numero di ASud’Europa scaricabile all’indirizzo www.piolatorre.it.
I risultati del report
Secondo il 61,56% dei ragazzi, un campione non rappresentativo ma comunque indicativo, è la corruzione della classe dirigente che permette alla mafia di continuare ad esistere e la corruzione della classe politica locale per il 66.07% è la ragione della diffusione nelle regioni centro-settentionali della criminalità mafiosa. Tutto ciò incide “molto” o “abbastanza” negativamente sull’economia della propria regione per l’81.89%, un dato in costante aumento negli ultimi anni.
Un giudizio che si riflette inevitabilmente sul grado di fiducia che i ragazzi ripongono sul mondo della politica. Lo Stato è percepito più forte della mafia solo dall’11,73% dei ragazzi, mentre il 53.32% ha indicato la mafia (la restante parte non sa). Persiste quindi un clima di sfiducia sulla effettiva sconfitta della mafia: solo il 23,55% ha dichiarato che sì, la mafia potrà essere definitivamente sconfitta, mentre il 47.19% ha detto di no.
“Il report – commenta Vito Lo Monaco, presidente del Centro – conferma i segnali forti e chiari di allarme e consapevolezza sociale da parte dei giovani che una classe dirigente attenta dovrebbe accogliere. Dovrebbe far riflettere la constatazione della maggioranza degli intervistati che ritiene che la corruzione è la causa principale dell’espansione del fenomeno mafioso nelle regioni centrosettentrionali non legata dunque all’emigrazione o all’”infiltrazione” della criminalità dalle regioni originarie. L’altra causa – conclude Lo Monaco – per la quasi totalità degli intervistati (il 95%) è da attribuire interamente alla responsabilità della classe politica e alla cosiddetta “area grigia”.
“I ragazzi ci spiegano che non sono soltanto le attività criminali in senso stretto, coi loro ingenti profitti illeciti, a dare forza, autorità, prestigio, capacità di controllo sociale alle organizzazioni mafiose- è l’analisi del professor Alberto Vannucci, docente di Scienze Politiche all’Università di Pisa. C’è la capacità di influenzare la vita politica e istituzionale a ogni livello. C’è un tessuto opaco di relazioni che i mafiosi allacciano con una classe politica e con un ceto burocratico apertamente colluso o connivente per vie indirette e sotterranee, ma anche con un mondo dell’imprenditoria e delle professioni dove la logica del profitto ad ogni costo autorizza anche “relazioni pericolose” – purché vantaggiose – con soggetti criminali in apparenza tanto generosi nell’erogare capitali di provenienza illecita da riciclare, protezione, informazioni, intermediazione con centri di potere e di autorità”.
“L’accusa non coinvolge solo i politici – sottolinea Salvatore Sacco, Consulente Area finanza consorzio Unipa e-learnings. essa è molto più generalizzata e riguarda tutta la classe dirigente.
In questa situazione la proiezione futura si fa disperata, in un mondo in cui i mafiosi – o tout court i corrotti- la fanno da padrone; per l’82% dei ragazzi intervistati la mafia incide abbastanza o molto sull’ economia del proprio territorio, così la ricerca del lavoro si presenta come un calvario (per il 73% la mafia rappresenterà un ostacolo alla costruzione del proprio futuro). Ed allora, quasi l’80% di loro invoca l’adozione di effettivi criteri meritocratici, ritenendo che i “raccomandati” siano in genere persone non valide, ma che hanno la meglio in una società come quella attuale in cui la la raccomandazione è pratica molto diffusa”.
“Prevalgono in misura talora schiacciante – rileva Antonio La Spina, Direttore del Master in Management e politiche della amministrazioni pubbliche alla Luiss di Roma – le risposte che rivelano sfiducia verso il prossimo. Le categorie che ottengono il maggior grado di fiducia sono gli insegnanti, seguiti da forze dell’ordine, magistrati, parroci. Fanalino di coda sono i politici locali e ancor più nazionali. Alla domanda sull’impegno per gli altri e nella propria comunità potendo barrare fino a due alternative, il 72,53% ha risposto che ciò significa dedicarsi a chi ha bisogno (manifestando un’idea di solidarietà più individualizzata che “sistemica”), poi il 33,50% ha indicato il far volontariato entro un’associazione, il 26,36% difendere l’ambiente, mentre solo il 12,07% ha fatto riferimento al fare politica o al partecipare a comitati cittadini (11,48%)”.
“Dal report – sottolinea Vincenzo Militello, Ordinario di Diritto penale all’Università di Palermo – emerge una importante conferma del ruolo della scuola nell’opera di prevenzione diffusa. Essa è la sede in cui i giovani parlano maggiormente del fenomeno mafioso grazie al ruolo primario che i docenti rivestono nell’opera di sensibilizzazione e che viene in qualche modo ricambiato dai giovani con il riconoscimento ai docenti del massimo grado di fiducia fra i soggetti delle istituzioni. Pur se di mafia si parla anche in contesti extrascolastici (specie in famiglia), la maggioranza dei giovani – conclude Militello – riceve dai docenti informazioni in proposito, tanto tramite attività educative antimafia (frequentate dalla maggioranza del campione sin dalla scuola media inferiore e in misura ancora più diffusa in quella superiore): quanto direttamente con la trattazione di temi connessi al fenomeno”.
“Principi emersi dall’indagine come il merito e la disapprovazione per il lavoro nero – dichiara Ernesto Savona, professore di criminologia all’Università del Sacro Cuore di Milano – indicano una tensione verso la legalità che fa ben sperare su questa generazione che si affaccerà tra qualche anno sul mercato del lavoro e che si aspetta dalle istituzioni comportamenti coerenti con queste aspettative”.
All’indagine hanno partecipato anche alcuni ragazzi tedeschi del Land Baden-Württemberg, Le loro risposte sono state analizzate da Giovanni Frazzica, ricercatore di Sociologia dell’Università di Palermo. “Undici ragazzi su 30 individuano nella ricerca di facili guadagni la motivazione principale nella decisione di entrare a far parte della criminalità organizzate collocandosi al primo posto fra le alternative di risposta selezionate. La distribuzione “somiglia” molto alle risposte fornite dagli italiani (432 rispondenti, che valgono il 36,73% del totale).
Anche le altre risposte si “somigliano” molto, segno questo di una presa di coscienza circa la presenza delle mafie anche in territori non certamente connotati da elementi che per molti (e per molto tempo) sono stati identificati come in grado di esprimere una cultura mafiosa assente in altre aree. Seppur in misura minore, anche per gli studenti tedeschi Stato e mafia si contendono il controllo del territorio; in particolare, anche oltralpe vi è la percezione che la forza delle istituzioni viene spesso messa in discussione dal potere criminale (si pensi che per 12 dei rispondenti la mafia è più forte dello Stato)”.
All’analisi dell’indagine hanno partecipato anche Raffaella Milia, Patrizia Mannino, Salvatore Di Piazza, Sorina Soare e Attilio Scaglione che si è occupato degli articoli scritti dai ragazzi per la nuova sezione della rivista, ASud’Europa Junior, interamente dedicata ai pezzi redatti dagli studenti.
Il report integrale sull’indagine sul numero di questa settimana di ASud’Europa, scaricabile al sito www.piolatorre.it.