Intervista ad Annalisa Strada, autrice di “La sottile linea rosa”, romanzo per le/i più giovani su un tema attuale e delicato.
È la trama del nuovo romanzo per ragazze e ragazzi (dagli 11 anni in su) dal titolo La sottile linea rosa scritto per Giunti da Annalisa Strada, autrice di narrativa e docente delle scuole secondarie di primo grado. Ha scelto un tema complesso e quanto mai attuale, vista la crescita in tutto il mondo occidentale delle gravidanze precoci.
“Non me ne ero mai occupata prima e ho ragione di credere che non lo rifarò in futuro in altri volumi – racconta Strada – un argomento così delicato ritengo lo si possa affrontare una volta sola, esprimendo compiutamente lì il proprio pensiero”. In realtà l’autrice il suo pensiero lo ha espresso in maniera molto rispettosa, senza dare giudizi o dividere fra giusto e ingiusto. Ha lasciato che la protagonista ci raccontasse il suo flusso di pensieri, nel momento in cui la sua vita è costretta ad affrontare una esperienza a cui lei non è preparata. Non sa bene a chi rivolgersi perché la sua famiglia è poco ricettiva, per fortuna c’è uno zio acquisito, il fidanzato della sorella della madre, capace di parole adatte a lei, l’unico che forse accetta senza moralismi la confessione di Perla.
Strada, da insegnante, secondo lei, le giovani generazioni hanno consapevolezza del loro corpo e come si muovono sul terreno della sessualità?
Ho osservato e ascoltato a lungo gli/le adolescenti su questo argomento, anche se non ho la pretesa che la mia esperienza possa avere valore statistico. I ragazzi e le ragazze hanno molte conoscenze sul sesso, ma poche competenze relazionali e – per ovvie ragioni anagrafiche – scarse esperienze di vita. Posso forse spiegare meglio con un parallelo. La mia generazione – per quanto di poco successiva alla rivoluzione sessantottina – ha sondato i “misteri” della sessualità attraverso le parole abbastanza criptiche degli adulti e i primi corsi di educazione sessuale a cartoni animati, ha poi assistito all’irrompere dell’Aids e quindi ai primi tentativi di affrontare in maniera capillare e strutturata il tema della prevenzione (e, connesso, quello della contraccezione), ma ha per contro goduto di una certa libertà di movimento e di organizzazione del tempo libero. I/le giovani di oggi sono informati sulle dinamiche e le relazioni sessuali sin dalle elementari, sono bombardati di messaggi promozionali che usano l’erotismo o il sesso come vettore comunicativo ma fino a un’età abbastanza avanzata non sono liberi di organizzare relazioni personali se non in ambito controllato. Per capirci: non si gioca più nel parco al pallone con i primi coetanei che passano, ma si va alla scuola di calcio. Questa discrepanza tra conoscenze sessuali e competenze sociali credo sia una distorsione creata dagli adulti e che si riverbera in maniera pesante sulle giovani donne e giovani uomini.
Che responsabilità ha la scuola rispetto alla mancata educazione sessuale per cui molte, troppe, giovani donne e giovani uomini non usano i contraccettivi?
Nella mia personale esperienza ho constatato che le scuole non si sottraggono all’informazione sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse o sulla contraccezione. Ci sono enti pubblici e privati o convenzionati che organizzano appositamente per le scuole, almeno nelle realtà più fortunate e meglio organizzate, corsi di educazione all’affettività e alla sessualità. Premesso questo, non penso che sia un compito che solo la scuola deve assolvere. Esistono la famiglia e molte realtà riconosciute che i ragazzi frequentano, oltre a enti che utilizzano gli adolescenti come target di riferimento. Solo attraverso una reale collaborazione o almeno unità d’intenti tra questi si può fare un’informazione capillare e adeguata, oltre che responsabile.
A mio parere, il mancato uso di contraccettivi nei rapporti precoci non è da imputare alla mancata conoscenza degli strumenti, ma ad altri fattori che elencare tutti sarebbe complesso: dalla sottovalutazione del ruolo del contraccettivo (secondo il ragionamento “per una volta posso rischiare”) alla mancanza di esperienza, ma anche per ‘ricucire’ la realtà della vita con la teoria conosciuta.
Il padre alza le mani su Perla: non meritava quel passaggio – visto il contesto generale – un accenno maggiore alla violenza sulle donne?
Non l’ho ritenuto opportuno nel contesto di questo libro: l’effetto della violenza è chiaro, ma il tema è un altro e affastellare troppe problematiche corre il rischio di non esaurirne veramente nessuna.
È interessante il rapporto/non rapporto con la madre, che sembra risolversi nella adunata fra donne dalla nonna: quanto conta la genealogia femminile nella crescita di una ragazza adolescente?
La genealogia, il senso di appartenenza, la sensazione di essere accolte e la complicità tra donne sono fattori che, a mio avviso, possono risolvere una vita e aiutare a trovare un senso nelle cose. Se fossimo più capaci di ascoltare, immedesimarci e comprendere, dismetteremmo molte inutili ostilità.