Un pugno di giorni fa un quindicenne in gita scolastica è precipitato dal ponte di una nave: morto. Ieri un sedicenne in gita scolastica è stato colpito a morte durante “il gioco” del lancio di coltello con i suoi compagni. Sono fatti che vanno ad aggiungersi agli altri incidenti gravi e gravissimi capitati nelle gite sporadiche organizzate per adolescenti. Non c’è inferno peggiore dell’interruzione di vita troppo giovane, devastazione famigliare, tremendo macigno per gli accompagnatori adulti.
Presi uno a uno i ragazzi mai avevano dato segni di parossistica violenza verso se stessi e/o verso il prossimo (è solo la violenza in ogni sua espressione che porta a certi parossismi). Com’è dunque fattibile che trovandosi tutti insieme in gita, elemento di svago alle quotidiane barriere convenzionali, sentono il bisogno dell’eccesso estremo? Che per risponderci sia almeno il caso d’entrare nel merito di quelle barriere? Temo di sì. L’adolescente “tipo” è (lasciato) solo. Solo con i suoi rapporti interpersonali fantasticamente virtuali, siano essi messaggi con suoi omologhi anche se sporadicamente scambiati dal vivo o game fantastici. La sua straordinaria incommensurabile capacità vitale e mentale che può ( e per sua natura deve) sfogarsi utilizzando i propri e servendosi degli altrui cinque sensi -alla bisogna del sesto- così è soffocata, castrata, sotterrata (viva).
Un esempio pratico? I ragazzi abituati fin da piccini a praticare costantemente giochi e sport di squadra scolastici ed extra, dunque a convivere anche nelle “trasferte”, sanno perfettamente comportarsi da impertinenti scavezzacolli, ma per nessuna ragione al mondo sentono il bisogno d’arrivare a sacrificare la loro vita per dimostrarlo a noi adulti…