Storica sentenza della VI Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione (Carribba Presidente – Iacoviello PG) che, in accoglimento dei motivi di ricorso elaborati dall’avvocato Aurelio Chizzoniti, in difesa di Piero Sansonetti già Direttore dell’Ora di Calabria e Consolato Minniti (nella foto) Capo Servizio della redazione di Reggio Calabria, ha annullato senza rinvio l’ordinanza del Tribunale della libertà di Reggio Calabria, con la quale in data 30 settembre 2013 era stata rigettata la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro emesso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria e controfirmato, oltre che dal Procuratore Capo, dagli Aggiunti e da tre Sostituti.
Il predetto provvedimento oltre a ordinare il sequestro di tutti i computer, le pen drive, hardware, telefoni cellulari, e dispositivi magnetici, rinvenibili presso la redazione dell’Ora e nella disponibilità del dottor Minniti, disponeva anche la perquisizione della sede della stessa estesa anche all’abitazione, all’autovettura ed alle pertinenze riconducibili al giornalista ed alla famiglia dello stesso.
La vicenda trae origine dalla pubblicazione in data 12 settembre 2013 di un articolo a firma Consolato Minniti con il quale l’Ora di Calabria informava di una riunione riservata avvenuta a Roma presso la sede della DNA alla quale avevano partecipato alti Magistrati della Procura Nazionale Antimafia per un approfondimento sullo status investigativo afferente le stragi di mafie, preannunciando a conclusione del pezzo incriminato, un ulteriore articolo sull’argomento. Proprio per impedire il seguito e soprattutto per l’evidente tentativo di individuare la fonte genetica della informazione riservatissima, la Procura della Repubblica reggina emetteva il prefato decreto di sequestro e di perquisizione nel contesto di diversi ipotesi di reato quali 416 bis cp (nei confronti d’ignoti), 326 cp, 648 cp e 684 cp., tutti con l’aggravante di cui all’art. 7 Legge 203/91. Il TDL adito, con provvedimento del 30 settembre 2013, rigettava la richiesta di riesame evidenziando che «nella vicenda devoluta sussistono in modo evidente assai stringenti esigenze investigative che impongono il mantenimento del sequestro probatorio, atteso che quanto posto sotto sequestro non solo risulta indispensabile al fine di accertare i fatti di reato oggetto di contestazione ma anche necessari ad impedire che vengano commessi ulteriori ed analoghi delitti», richiamando anche l’art. 253 c. 1. cp, che statuisce che “l’autorità giudiziaria dispone il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato per l’accertamento dei fatti”. Avverso detto provvedimento insorgeva l’avvocato Aurelio Chizzoniti, che eccepiva e motivava la violazione degli art. 252-253-370-256 e 200 cpp in funzione del «ruolo delicatissimo dell’informazione tutelato sia sul versante costituzionale (art. 21) che dalla Convezione europea dei diritti dell’uomo e della salvaguardia della libertà fondamentale (art. 10)». Secondo l’avvocato Chizzoniti ne derivava «l’insequestrabilità di computer, agende dei giornalisti, pc, cellulari, hardware e di ogni altro dispositivo magnetico, anche se il sequestro è stato disposto ed eseguito al fine di individuare la fonte anonima di notizie segrete che, nel caso di specie, non poteva che essere stata un “intraneus” alla pubblica amministrazione e che tali certamente non erano né il direttore responsabile dottor Piero Sansonetti, né il capo servizio dottor Consolato Minniti». Richiamando, altresì, l’ineludibile esigenza di controllare la cautela reale o probatoria al fine di consentire «una pronta tutela contro atti processuali invasivi di rilevanti posizioni, presidiate costituzionalmente, quali il diritto di proprietà e, per un giornalista, anche la libertà d’informazione ex art.21 della Carta Costituzionale», alla quale sono connessi la garanzia del segreto professionale e la riservatezza delle fonti di informazione, sottolineando come gli strumenti informatici operanti in redazione ed in possesso del giornalista siano indispensabili per l’esercizio della professione. In quest’ottica l’avvocato Chizzoniti ha dedotto anche che, ai fini della contestazione esplorativa di cui all’art 326 cp, «non basta che il pubblico ufficiale esponga al rischio della rilevazione notizie aventi la caratteristica della segretezza», ma è indispensabile che si provi l’istigazione alla rilevazione assumendo così anche “l’extraneus” lo status di concorrente nella consumazione del predetto reato. Il difensore ha inoltre eccepito che «il modus operandi degli investigatori ha messo in essere una ricerca esplorativa fuori da ogni controllo, condotta ad libitum, eludendo scolasticamente il principio di cui all’art. 200 c. 3 cpp e della funzionale disciplina ex art. 326 cpp», opinando che il rafforzamento della tutela delle fonti giornalistiche «non è un semplice privilegio concesso al cronista ma caso mai un diritto indispensabile alla libertà di stampa affinché la collettività sia informata su questioni importanti con precisi limiti per le autorità inquirenti, le quali non possono intervenire con mezzi invasivi utili a scoprire l’autore di fughe di notizie». Queste argomentazioni sono state condivise dal PG dottor Iacoviello che ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato stigmatizzando anche l’uso improprio dell’aggravante di cui all’art. 7 legge 203/91 alla quale spesso si ricorre per giustificare tutto e il contrario di tutto.
La Corte, dopo le conclusioni dell’avvocato Chizzoniti che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso, esaltando un importantissimo principio di diritto volto alla doverosa tutela della libertà d’informazione e della segretezza delle fonti, ha disposto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato nonché del decreto di sequestro e di perquisizione disponendo la restituzione delle cose in sequestro ai legittimi proprietari. Ovviamente, eccezion fatta per i verbali della Direzione Nazionale Antimafia, fra l’altro, spontaneamente consegnati dal giornalista Consolato Minniti.