Il vuoto dopo la comunità: l’emergenza dei neomaggiorenni “fuori famiglia”

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I minori che hanno trascorso gran parte della propria infanzia e adolescenza in affido o in strutture di accoglienza non hanno spesso nulla dopo aver raggiunto la maggiore età. L’associazione Agevolando se ne occupa cercando di evitare “nuovi abbandoni”

BOLOGNA – “Quella dei neomaggiorenni in uscita da comunità per minori o provenienti da affidi è sempre più un’emergenza, su cui bisogna lavorare molto”. A parlare è Federico Zullo, presidente e fondatore dell’associazione Agevolando, la prima in Italia che si occupa in modo specifico di questi ragazzi e ragazze e la prima formata proprio da giovani che hanno trascorso parte della loro infanzia e della loro adolescenza “fuori famiglia” e che, una volta finita l’esperienza di accoglienza in comunità o in affido familiare, si sono scontrati con le difficoltà legate alla necessità di diventare autonomi, forse un po’ troppo in fretta. Proprio com’è capitato a Federico. È proprio dal suo vissuto e dall’incontro con altri giovani con percorsi simili al suo che è nata l’idea dell’associazione. “Stiamo rimpiendo un ‘buco’ – continua – : i servizi sociali faticano e, spesso, tagliano dove non c’è obbligo di intervento. Ma per ragazzi che hanno vissuto il distacco dalla famiglia perché abbandonati o maltrattati e sono stati in comunità è come essere abbandonati di nuovo”. Ecco perché Agevolando sta lavorando insieme alla Commissione parlamentare Infanzia a un disegno di legge dedicato ai neomaggiorenni in uscita da comunità o affidi per chiedere percorsi di accompagnamento personalizzato predisposti dai servizi.

Ma com’è stato l’inserimento in comunità? Faticoso, nell’esperienza di Federico. Anche se poi, “con il tempo mi sono abituato, ho capito che era stata la scelta giusta”. Figlio di una ragazza madre, con problemi di tossicodipendenza, Federico è nato nel 1979 ed è stato cresciuto dalla nonna fino all’età di 10 anni. Poi, con il consenso della nonna, è stato inserito in una comunità per minori a Verona. E per lui che veniva dalla montagna è stato traumatico, lasciare l’ambiente familiare, la casa, gli amici. Ma poi di amici se n’è fatti di nuovi nell’istituto don Calabria, dove ha vissuto insieme a una trentina di bambini, come lui. Ma soprattutto dove è stato seguito da persone che gli hanno saputo dare le giuste indicazioni. Federico ha frequentato la scuola e ha terminato le superiori e poi a 18 anni è tornato a vivere con la nonna. “Mia madre nel frattempo è morta, mia nonna era molto anziana e io avevo ancora bisogno di supporto, di una figura autorevole che mi accompagnasse”, racconta. Ci sono stati 2 o 3 anni difficili, poi Federico si è trasferito a Ferrara, si è iscritto a Scienze dell’educazione e ha iniziato un’esperienza di volontariato in una comunità per minori che poi si è trasformata in un lavoro. E così a 21 anni si è ritrovato a fare l’educatore a ragazzi che stavano passando quello che anche lui aveva vissuto sulla sua pelle. “Lavoriamo tanto con questi ragazzi e otteniamo risultati positivi, ma sul lungo periodo – dice – Ecco perché lasciarli soli a 18 anni è troppo presto, rischiano di crollare”.

Oggi Agevolando conta circa un centinaio di soci, di cui 30 ex ospiti di comunità per minori o famiglie affidatarie. Tra di loro ci sono educatori, psicologi, avvocati, assistenti sociali, giudici onorari, cittadini di ogni provenienza sociale e professionale. L’associazione ha aperto due sportelli per neomaggiorenni con accesso diretto (uno a Rimini insieme alla Fondazione San Giuseppe e uno a Bologna) e uno online (su Ravenna e Bologna). “Non si tratta solo di ascoltare o dare informazioni – spiega Federico – ma anche di accompagnare i ragazzi e di creare gruppi di appartenenza”. Agevolando gestisce anche 5 appartamenti (3 a Bologna, 1 aFerrara e 1 a Verona) in cui finora hanno abitato 15 ragazzi, pagando una quota di partecipazione, ha promosso un progetto di inclusione lavorativa che ha permesso di inserire 20 giovani in azienda (6 hanno già un contratto) e sostiene la partecipazione attiva dei ragazzi, ad esempio, coinvolgendoli nella realizzazione di una guida cartacea ai servizi per neomaggiorenni di Ravenna e Bologna. “In questo modo si sentono protagonisti del proprio futuro e anche di quello di qualcun altro – precisa – perché se possiamo far parte di progetti importanti, allora significa che non siamo poi così sfortunati come l’etichetta di ‘fuori famiglia’ che ci hanno appiccicato addosso vuole far sembrare. Ognuno di noi merita di avere le stesse opportunità degli altri, abbiamo solo avuto percorsi diversi”. (lp)

Da redattoresociale.it


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