4 Papi, due viventi e due ancora nella memoria della folla che è accorsa in piazza San Pietro. Merita rispetto per quel che accade nella chiesa cattolica e prudenza. Perché i cambiamenti in un’istituzione millenaria non si colgono bene né sempre analizzando il contingente. Mi colpisce, tuttavia, il doppio titolo del Corriere della Sera. A pagina due: “Latino, reliquie, applausi, la Chiesa rinata dei Papi santi”. Il sacro e la fede, l’antico che trae ragione dal miracolo di Dio. Ma in prima pagina il tutolo suona: “Francesco e due uomini coraggiosi”. Li ha definiti proprio così, Papa Bergoglio, “uomini”, come ciascuno di noi. E “coraggiosi”, perché sono andati “incontro al ventesimo secolo”, senza farsene soggiogare. Con quelle parole il Papa, uno solo, venuto dalla fine del mondo, ha dettato la sua continuità: Roncalli, che chinò la sacralità della Chiesa fino a guardare dentro la famiglia, al rapporto tra genitori figli nel periodo del boom (che altro era, se non questo, “il discorso della Luna”?) e Woityla che pretese, sia alla famiglia che alla chiesa, una testimonianza eroica contro lo spirito del tempo, in difesa della fede e dei lavori sottesi.
Oggi, però, la Chiesa di Bergoglio chiede “permesso, grazie, scusa”. Vuole riunire donne e uomini, coraggiosi perché rifiutano “il pane sporco”, e perché sanno contrapporre alla “logica della necessità”, che giustifica sempre il potere, la “dialettica della libertà, dove c’è l’amore”. “Chi sono io per giudicare un gay?” È nel dubbio di Agostino che si può cercare una qualche certezza. Cosa sarà tra venti anni? Anche l’apostolato di Francesco verrà rinchiuso in una formula rassicurante? Sarà il Papa Semplice, dopo il Papa Buono, e il Papa Eroe, oppure farà cadere mura, privilegi e ipocrisie che da secoli circondano la fitta del Signore?
“L’olocausto è il crimine più odioso contro l’umanità che sia commesso in epoca moderna”. Mahmūd Abbās l’avrei definito un politicante palestinese, un uomo formato a Mosca, con tesi di prammatica sulla “Connessione tra sionismo e nazismo”, dimezzato dalla faida con Hamas, senza il carisma del predecessore né il nerbo necessario per combattere la corruzione nell’OLP. Ma la disperazione può rendere eccezionali uomini assai comuni. Quelle parole rompono un tabù: nessuno mai potrà più negare la Shoah in nome della causa palestinese. E ha ragione Grossman, intervistato da Repubblica, quando dice “Solo se smetteremo di difenderci, a volte selvaggiamente, contro la sofferenza del nostro avversario saremo in grado di capire la narrativa dell’altro”. E se Netanyahu non fosse, a sua volta, un politicante accecato dal conto dei missili e dei finanziamenti statunitensi, riconoscerebbe il dolore dei Palestinesi, la cacciata e l’esodo da Israele, come “Nakba”. Senza più lasciar ripetere che nel 48 gli arabo-palestinesi non erano popolo, né nazione, e forse neppure uomini.
“Ecco il nuovo patto sul Senato”, scrive Repubblica. “Così cambierà il senato”, fa eco il Corriere. Al netto dell’imbarazzo, che credo di cogliere nei due grandi giornali, i quali non avevano messo in conto che Renzi potesse modificare la sua linea, dirò che abbiamo vinto, noi dissidenti del Pd, ma che non so se riusciremo a portare a casa una riforma decente. Siamo riusciti a dimostrare come la doppia maggioranza, di governo con NCD, e per le riforme con Forza Italia, avesse piedi d’argilla. Siamo riusciti a ridare senso politico alla ex maggioranza, ora minoranza del Pd (“area riformista”, si chiamerà), liberandola, con la scelta di presentare un disegno di legge alternativo, dalla dialettica obbedienza / sabotaggio, con-il-partito / ma-non-con-Renzi, che l’avrebbe condannata a restare palude. E abbiamo vinto perché intellettuali diversi da Rodotà e Zagrebelsky ora ammettono che il disegno di legge Boschi era un pasticcio frettoloso e pericoloso. Si legga, in proposito, l’articolo di De Siervo, oggi, sulla Stampa.
Ma temo che già domani, in Commissione Affari Costituzionali, si vorrà far prevalere il taglia e cuci, ci si muoverà verso una maggiore rappresentatività del Senato cercando però di renderla poco visibile (per non umiliare il ministro), si resisterà a diminuire il numero dei deputati (per non frustrare le aspirazioni) e si rimanderà la questione, decisiva, dei contrappesi a quando, superate le elezioni, si dovrà riconoscere che la legge elettorale, frutto dell’accordo con Verdini e approvata dalla Camera, non va bene.
Vedremo. Ho un solo rimpianto. Che tanta parte della sinistra, anche di una sinistra non appesantita dalla gestione del potere, non abbia capito quel che Chiti e Tocci e alcuni altri andavano dicendo. Che il partito democratico è uno e ha un suo segretario, che con questo segretario bisogna collaborare lealmente, ma collaborare significa dar battaglia se si pensa che stia sbagliando su questioni fondamentali, addirittura di rilievo costituzionale. La politica non è solo contrapposizione o compromesso, posti in direzione e accordi sulle candidature. La politica è anche battaglia ideale, capacità di riconoscere gli errori, desiderio di coinvolgere i cittadini. Perché se no, come ricorda Tocci, continueremo a fare troppe leggi, a rendere lo stato arcaico, come lo chiama Barca, ancora più arcaico e inefficiente. E le riforme non basteranno mai. Ha ragione Renzi quando dice che Grillo e Berlusconi sono due facce della stessa medaglia.L’alternativa può essere il Partito di Renzi, ma rianimato da una critica costruttiva, senza “l’avevo detto”.