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Il giornalismo culturale? Un’opera di resistenza

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A scuotere la platea del festival del giornalismo culturale di Urbino ci pensa Giovanni Boccia Artieri, dell’Università Carlo Bo:” guardate che nel futuro i veri concorrenti dei giornalisti culturali saranno gli algoritmi. Voglio dire che se scompaiono i mediatori culturali ed i filtri sociali saranno le intelligenze artificiali a consigliarci quali libri leggere sulla base delle nostre abitudini di consumo”.

Già,  come fare informazione per la cultura in un paese come l’Italia dove negli ultimi cinque anni c’è stata una caduta dei consumi culturali di circa il 38%? In quali luoghi e con quale linguaggio? Questi sono gli interrogativi rimbalzati nei tre giorni di lezioni e dibattiti nell’elegante Palazzo del Legato Albani di Urbino all’interno del festival del giornalismo culturale diretto da Lella Mazzoli e Giorgio Zanchini.

La cultura è uno strumento fondamentale anche per comprendere i personaggio del pensiero pubblico di oggi– osserva Luca Mastrantonio del Corriere della Sera- ad esempio dopo aver letto la serie di articoli di Alessandro Baricco sui barbari ho capito molto meglio la novità di Renzi”.

“ Lasciamo stare Baricco– replica lo scrittore Christian Raimo- il suo è il tipico esempio di story telling confidenziale che non educa al testo, tipico di chi si sente Hemingway senza mai essere stato in Africa”.

E’ lo stesso Raimo che analizza poi la materia sotto un profilo politico. “ Il giornalismo culturale oggi è educazione del lettore. Si può fare cultura solo se si fa pedagogia. Viviamo in un paese nel quale una larga fetta della popolazione non legge libri né vede film e dove l’unico veicolo di conoscenza è la televisione. Quindi la nostra è una forma di supplenza orientata ad un’opera di alfabetizzazione culturale che tenta di supplire ad una vera crisi di sistema. In altre parole oggi il giornalismo culturale è un lavoro di resistenza”. Possiamo recuperare in Italia un rapporto positivo con la cultura- ragiona Piero Dorfles– solo attraverso un’estensione della produzione culturale portandola cioè al di fuori delle nicchie nella dimensione di una cultura diffusa. E noi come giornalisti culturali dobbiamo superare il vecchio vizio di un linguaggio per iniziati e cercare di immaginare nuovi modelli “.

“ Occorre ripensare il mestiere di giornalista culturale– incalza Artieri- cercando di incontrare i lettori nei loro flussi di lettura,individuandone i luoghi che non sono tanto i supplementi culturali dei quotidiani, ma piuttosto i blog, face book, twitter e tutti i nuovi canali”. “ Le pagine culturali dei quotidiani– osserva  Luigi Mascheroni del Giornale- sono sempre più simili a cattedrali medievali. Molti le vorrebbero abbattere per lasciar spazio a centri commerciali. Ma non possono farlo perché le cattedrali hanno un carattere di sacralità. Ed allora ci si fa una visitina veloce senza badare molto a quello che trovi dentro”.

L’immagine più bella è quella che sceglie Luca Mastrantonio: il giornalismo culturale davvero intelligente- dice- deva manifestare indipendenza rispetto alle comuni aspettative e generare sorpresa. Un po’ come se vedessi qualcuno sollevarsi  dalle mura nelle quali è rinchiuso, segretamente provvisto di ali”.


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