Il martire della fede e della convivenza, Frans Van der Lugt, non è morto invano. Anche se ignorato da molti, il suo sacrificio indica la strada a chi vuole salvare il Mediterraneo.
Quando arrivarono, quasi contemporaneamente, il vapore e la ferrovia hanno capovolto la storia di Beirut, fin lì piccola fortificazione, da allora unica metropoli araba sul mare. Da quel giorno, col vapore e la ferrovia, il Mediterraneo davanti e le montagne che respirano sul collo di Beirut sono divenute il destino di questa città, inseparabile dalla modernità e da ciò che ha davanti e dietro di sé, scalo e porta del Levante.
All’altro capo della ferrovia c’era Damasco, città del deserto, dell’interno, indissolubilmente legata al passato, alla storia imperiale. Beirut e Damasco sembrano un uomo e una donna che camminano lungo la stessa strada della storia, inseprabili ma mai sotto braccio, anzi. Il Libano e la Siria sono il cuore del Levante e quel che accade nell’uno è sintomo e prodotto di quel che accade nell’altra. Nelle loro storie i cristiani hanno un ruolo centrale. Qui non è come nel Golfo, o nel Nord Africa. Qui, nel Levante, i cristiani sono in ogni villaggio, in ogni contrada. Protagonisti delle grandi svolte, e dei terribili drammi.
L’interminabile guerra civile libanese è stata la madre di tutti gli orrori. E come ha detto papa Giovanni Paolo II ha visto “i cristiani uccidere e uccidersi tra di loro” . Quando quel conflitto è terminato, il Vaticano ha voluto sconfessare una volta per tutte la tentatizione identitaria e islamofobica, chiarendo: i cristiani orientali sono arabi e con i loro vicini e connazionali musulmani devono costruire stati di diritto, fondati sulla cittadinanza, uguale per tutti. Ecco perché Giovanni Paolo II parlò di “Libano come messaggio”, perché questa cittadinanza paritaria nel Libano a maggioranza musulmana è realtà. La scelta compiuta da Giovanni Paolo II è stata ribadita da Benedetto XVI e da papa Francesco.
Ma, quando nel 2011 questa prospettiva è diventata una battaglia politica concreta in tanti paesi arabi, molti patriarchi e moltissimi leader politici cristiani, soprattutto in Siria, hanno scelto la strada opposta, quella che in Libano aveva portato alla disfatta dei cristiani e del Paese. Perché? Fondamentalmente per pregiudizio anti-islamico. Questo pregiudizio si radica su due convincimenti, storicamente infondati: 1) nell’Islam non è possibile la seprazione tra Dio e Cesare, 2) nei paesi a maggioranza musulmana i non musulmani non potranno mai godere gli stessi diritti dei musulmani, che vorranno comunque applicare il sistema ottomano del millet , dove in cambio di lealtà si delegava al clero il sogno dello stato civile, affidando ad esso la gestione di stato civile, attività scolastica e associativa in ogni comunità confessionale (quindi meglio stare in buoni rapporti con il regime e ove possibile che comandi una leadership islamica non espressione della maggioranza sunnita).
E’ contro questa deriva che ha voluto sacrificare la sua vita il settantacinquenne gesuita Olandese Frans Van der Lugt ucciso a Homs all’alba di ieri.
Davanti al nazionalismo sopraffattore che dopo il genocidio degli armeni è alle prese con il genocidio dei sunniti di Siria per portare indietro gli orologi della storia e distruggere lo spazio mediterraneo, fondato sul concetto di vivere insieme dai tempi di Alessandro Magno, lui è insorto pacificamente, sommessamente. Martire non solo per la sua chiesa, per il cristianesimo tutto, ma anche per quei vescovi siriani che sembrano aver taciuto dopo il suo assassinio, e anche per noi: perché anche noi siamo cittadini dello spazio mediterraneo cosmopolita.
E i propagandisti della ferocia nazionalista, che spacciano per religiosa e non per identitaria la violenza che dilania questo nostro spazio, sono nostro nemici, quanto i tiranni. Ci sono i Giovani Turchi, i Saddam, gli Assad, dietro l’odio per l’uomo e la società del vivere insieme. Non le fedi. Le fedi sono state ammalate dai nazionalismi e dai colonialismi, sconfitti quelli guariranno…
di r.c.