ARTICOLO21 (Circolo di Trapani) – “L’istruzione dibattimentale ha dimostrato che il delitto di Mauro Rostagno ha avuto una matrice mafiosa, che la organizzazione ed esecuzione dell’omicidio è stata della famiglia mafiosa di Trapani, che il killer è stato Vito Mazzara, uomo d’onore di fiducia del capo mandamento Vincenzo Virga. Le sentenze in atti dimostrano che quello seguito è stato il classico ordine mafioso: Virga ha dato l’ordine e Mazzara lo ha eseguito…un dato assolutamente certo in questo processo… Mazzara Vito ha sparato perchè Vincenzo Virga ha dato l’ordine. Cosa nostra ha decretato l’omicidio di Mauro Rostagno per un interesse divenuto sempre più impellente e improrogabile rispetto alla sua attività giornalistica che perserava dagli schermi di Rtc, denunciando talvolta anche in modo ironico, i legami di Cosa nostra con la politica, le istituzioni, la massoneria.
Non avremmo mai potuto conoscere lo stato di insofferenza di Cosa nostra contro Rostagno senza l’imprenscibidibile contributo dei collaboratori di giustizia ovvero della voce interna di Cosa nostra, della pancia di Cosa nostra che mal tollerava quegli articoli”. Ha esordito così il pm Francesco Del Bene nella sua requisitoria in Corte di Assise a Trapani.Il primo pentito citato dal pm Del Bene è stato Vincenzo Sinacori. Ha raccontato del malumore contro Rostagno che è arrivato da Mazara del Vallo, da “mastro Ciccio”, Francesco Messina. Fu questi a parlare con il padrino don Ciccio Messina Denaro, perchè la mafia eliminasse quel giornalista. C’era la forte irritazione di Mariano Agate contro Rostagno per le sue cronache sul delitto Lipari e sul relativo processo dove Agate era imputato assieme al gotha mafioso catanese e a un capitano dei carabinieri, Melito che lasciata l’arma guarda caso finì assunto nella banca del banchiere trapanese Giuseppe Ruggirello (padre dell’attuale deputato regionale Paolo).
Anche Milazzo Francesco ha parlato del malcontento di Cosa nostra trapanese contro Rostagno, ricordando come veniva apostrofato, “cornuto e infame”, perchè Rostagno faceva i nomi di soggetti che non andavano fatti, perchè istigava, perchè provocatori erano i suoi interventi contro i mafiosi trapanesi, “li attaccava troppo” ha detto Milazzo: .”era all’epoca – ha chiosato Del Bene – l’unico giornalista che faceva quel lavoro giornalistico con impegno civile”. Giovanni Brusca: Riina dopo il delitto disse che i mazaresi e i trapanesi si erano tolti dai piedi una rogna, una camurria. Brusca non ha dimenticato nelle sue rivelazioni che che la tv dove lavorava Rostagno, Rtc, era di Puccio Bulgarella: “Riina sapeva bene dove Rostagno lavorava …Riina era a Mazara e lì ha trascorso latitanza e vacanze fino al 1992, protetto da Mariano Agate. “Brusca è stato utile per farci capire cos’era il gotha trapanese, altro che fratelli Minore, la gestione era corleonese a tutti gli effetti, ha descritto i ruoli di Mariano Agate, dei Messina Denaro, di Virga con il quale interlocuiva in quanto questi gestiva una attività parallela a Brusca, occupandosi del locale tavolino degli appalti.
Brusca ha parlato di Puccio Bulgarella e dei suoi ottimi rapporti tra questi e Angelo Siino (il cosidetto ministro dei lavori pubblici di Riina)..Bulgarella era visto male perchè amico di Falcone e per la presenza di Rostagno in tv, ma Bulgarella era amico di Siino, e ha ricordato una cena fatta con i due al ristorante Trittico di Palermo e in quella occasione Bulgarella spiegò la presenza di Rostagno in tv per i rapporti di questi con sua moglie, Caterina Ingrasciotta.. E le dichiarazioni di Siino nel processo hanno costituito un importante riscontro alle dichiarazioni di Brusca. Ha ammesso la conoscenza con Bulgarella, socio con lui nei lavori nella zona artigianale di Castelvetrano. Siino ha spiegato di avere mediato con i capi mafia della provincia a favore di Bulgarella del quale però don Ciccio Messina Denaro aveva precisa convinzione: “era uno sbirro!”.
E Rostagno era “un cornuto” per le sue trasmissioni, che facevano “arrizzare i carni”. Siino ha ancora detto che in occasione di un incontro a casa di Filippo Guttadauro, genero di Francesco Messina Denaro, il padrino castelvetranese era tornato a parlare male di Bulgarella per via di quel suo legame con Rostagno che “un giorno o l’altro avrebbe fatto una brutta fine perchè disonesto”. Siino riferì la cosa a Bulgarella che gli rispose allargando le braccia, spiegando che Rostagno era un cane sciolto non gli si poteva chiedere nulla. E’ stato ancora Siino a dire del commento di Agate Mariano dopo il delitto Rostagno: Agate disse che quello era stato un delitto di corna e che la mafia non c’entrava perché era stata usata “una scupittazza vecchia”; quel giorno c’era anche Ciccio Messina che, ha ancora ripetuto Siino quando fu sentito in Corte di Assise, fece un segno così eloquente come a dire che non era vero. Non voleva smentire il boss Agate, era un parlare tra mafiosi, la conferma che era stata la mafia ma in giro si doveva dire che era stato un delitto di corna, “per mascariare”. “In tanti delitti di mafia – ha sottolineato il pm Del Bene – Cosa nostra ha sempre saputo operare in questo modo”.
“Abbiamo dimostrato come dalla ricostruzione della scena del crimine con certezza si è materalizzata la presenza di Vito Mazzara e a questa conclusione siamo arrivati dalla sequenza dei colpi di arma da fuoco, dal fatto della precisa esecuzione dei colpi e per il testimone rimasto vivo, per l’uso di un’auto rubata….e poi ci sono state le parole dei collaboratori di giustizia che hanno confermato la presenza di Vito Mazzara”. Così poco prima dell’intervento del pm Del Bene ha sottolineato sempre in Corte di Assise, nel corso dell’udienza del 14 aprile, l’altro pm del processo, Gaetano Paci che ha aggiunto: “C’è un ulteriore elemento che porta a dire che sulla scena del crimine c’è la firma di Vito Mazzara”. Il riferimento all’esito della perizia del Dna disposta dai giudici nella fase finale del dibattimento: “Il processo è pervenuto a risultati di straordinaria importanza per certificare la presenza di Vito Mazzara sulla scena del crimine”. L’esame del Dna ha riguardato tutti i reperti trovati sulla scena del crimine. “Sono stati fatti 42 prelievi di campionature dagli 11 reperti….tre risultati riconducono al Dna estratto dall’imputato Mazzara…sono risultati particolarmente utili per il rapporto di comparazione…”. “In uno è risultato la piena compatibilità, per gli altri due i periti hanno scritto non si esclude e altamente probabile…caratteristiche genetiche riconducibili all’imputato”. Circostanza che i periti hanno descritto alla Corte in maniera eloquente: “la possibilità che vi sia compatibilità tra la traccia rinvenuta sui reperti con il profilo genetico di Mazzara è di una su 100 milioni”. E loro quel numero magico di uno l’hanno individuato. Ma non solo.
C’è un’altra conferma ancora più pesante. E’ stata individuata un’altra traccia che per la sua conformazione genetica è risultata “legata” all’imputato Vito Mazzara. “Si tratta di una traccia ritrovata sia all’interno che all’esterno del frammento ligneo…traccia ancora più forte di quella relativa all’imputato Vito Mazzara”. Il pentito Francesco Milazzo ha raccontato che tra le abitudini di Vito Mazzara c’era anche quella di tenere le armi che usava per i delitti dentro sacchi che affidava a terzi. In questo modo, ha spiegato il pm Paci, sul fucile si possono essere conservati le tracce genetiche di altri, di un possibile parente. Lo stesso Milazzo ha anche detto che a far parte dei gruppi di fuoco guidati da Mazzara solitamente ne faceva parte un suo zio, Mario Mazzara, classe 23, deceduto da tempo. I consulenti della difesa hanno cercato di smontare la tesi dei periti del Dna con estrema sufficienza….ma le prove sono precise e schiaccianti. “Oggi abbiamo al vaglio un risultato di straordinaria importanza relativo all’accertamento del Dna….questa è una firma che l’imputato inconsapevolmente ha finito con l’imprimere sulla scena del crimine”. “E come firma del delitto ci sono anche le parole (intercettate) dell’imputato Vito Mazzara che però qui in aula è venuto a dirsi innocente”. “Intendo riferirmi – ha spiegato alla Corte il pm Paci – alle indagini svoltesi in questi anni sul circuito relazionale di Vincenzo Virga, un circuito vasto, ampio, dove ci sono killer come Vito Mazzara, altri mafiosi, ma anche politici, imprenditori “. Ci sono le intercettazioni disposte sull’ auto di Virga Francesco cioè sull’auto di quel macellaio, di quel titolare della macelleria il cui scontrino si materializzò in un locale diruto della cava dove fu trovata, fumante, l’autovettura usata dai killer di Rostagno: “Tre muratori vennero a dirci che erano stati loro a consumare quello che avevano comprato in quella macelleria in quel luogo”. Francesco Virga all’epoca del rinvenimento dello scontrino era incensurato e gli investigatori nulla sapevano di suoi collegamenti con Cosa nostra venuti fuori anni dopo quando venne condannato per il ruolo determinante che aveva e per il quale fu condannato.
L’intercettazione: il primo febbraio del 1998 dentro questa autovettura di Virga Francesco, quando i poliziotti della Mobile indagavano sul clan Virga, veniva intercettata una conversazione tra Pietro Virga, figlio di Vincenzo, e un certo Maltese. I due sono stati sentiti parlare della figura di Vito Mazzara che era stato arrestato due anni prima per l’omicidio dell’agente penitenziario Giuseppe Montalto. Ne parlavano con preoccupazione discorrendo del degrado fisico che Mazzara soffriva mentre si trovava ristretto al 41 bis nel carcere di Spoleto: “loro esprimevano preoccupazione per quelle condizioni fisiche e dicevano che il rischio era quello che lui potesse morire..prospettando l’ipotesi di farlo scappare addirittura usando un elicottero da fare arrivare sul tetto del carcere….Ma il passaggio importante è stato anche un altro – ha continuato Paci – i due interlocutori non hanno nascosto parlando tra loro la paura che Mazzara potesse pentirsi…se lui parte di cervello è cuoio per tutte cose perchè Vito è un pezzo di storia”. Ci sono altre intercettazioni.
Esattamente dieci anni dopo da quella conversazione del 1998 e cioè il 29 aprile e il 27 maggio del 2008, Vito Mazzara mentre si trovava nel carcere di Biella, durante un colloquio con i familiari, è stato ascoltato commentare, parlando delle vicende di questo processo, con la moglie Caterina Culcasi e con la figlia Francesca Mazzara.”Mazzara ad un certo punto introduce un argomento del quale non stavano parlando, si riferisce ad un articolo di giornale, l’altra volta sul giornale c’era un articolo, di cosa dice la figlia, cose vecchie risponde il padre, e la signora Culcasi chiede ma che cos’è, Mazzara risponde rimpastano sempre cose vecchie, cose vecchie del 1987, e la moglie dice lo so lo so di cosa si parla…”. Lui dice che la magistratura è costretta dall’opinione pubblica a riprendere fatti irrisolti…”non è che comanda la magistratura comanda l’opinione pubblica…la magistratura voleva chiudere questa vicenda e l’opinione pubblica l’ha fatta riaprire….comanda l’opinione pubblica non la magistratura…e la magistratura sa vestere u pupu...e la figlia dice ma di cosa stai parlando…tutto qua cose vecchie…e la madre fa un gesto per dire alla figlia che dopo le spiegherà”.
Vito Mazzara – ha evidenziato Paci- sa di cosa stava parlando…aveva letto la stampa quotidiana Giornale di Sicilia e La Sicilia una sorta di fuga di notizie che per una volta risultava positiva, aveva letto una svolta nelle indagini per il delitto Rostagno”. Il Gds del 4 aprile 2008 aveva scritto che per il delitto Rostagno c’era stata una svolta nelle indagini; l’indomani La Sicilia scriveva che l’arma era della mafia e che Vito Mazzara era uno dei killer di Rostagno e l’indomani ancora La Sicilia faceva un altro pezzo sui delitti di mafia come raccontati dal pentito Milazzo, compreso quello di Rostagno. “La conversazione proseguì con Vito Mazzara che indicava alla figlia di controllare una intercapedine in una loro casa per vedere se c’era dentro ancora qualcosa, dice alla figlia, leva tutti i cose che ci sono dentro...la Squadra Mobile precedette la figlia trovando l’intercapedine e però dentro non c’era occultato nulla…in carcere Vito Mazzara era entrato in fibrillazione dopo avere saputo che si erano riaperte le indagini sul delitto di Mauro Rostagno…queste – ha continuato Paci – sono parole vive dell’imputato che non sono da sole prove schiaccianti ma che inseriti nella cornice di elementi emersi nel processo, nella parte dinamica del fatto, assumono rilievo indiziario significativo”.
Al pm Del Bene è toccato ricostruire le testimonianze raccolte durante il processo. “Il teste Ravazza ha riferito che qualche mese prima del settembre 1988 lui e Rostagno erano stati convocati dall’editore Bulgarella che diceva loro di stare attenti perchè qualcuno si stava incazzando. Analogo intervento a calmare i toni era arrivato da Cardella Francesco. Il pm Del Bene ha inserito i due episodi dopo avere riferito che Siino aveva invitato più volte Bulgarella a intervenire su Rostagno per fare abbassare i toni dei suoi interventi giornalistici. Pochi giorni prima del delitto il 16 settembre 1988 in un editoriale Rostagno diceva, e non a caso, “anche persone che ci vogliono bene ci hanno invitato a parlare meno di mafia…”. Per Del Bene il riferimento era a Cardella, ed è vero che Cardella aveva cercato di intervenire su Rostagno. “Il teste Giuseppe Aiello ha riferito un passaggio importante. Partecipando ad un pranzo a Palermo a un mese dal delitto cui partecipava anche l’ing. Lodato del gruppo Fininvest, si parlava di canali tv che Bulgarella voleva prendere per fare estendere il segnale di Rtc, quando questi chiese a Bulgarella perchè della uccisione di Ristagno, Bulgarella disse che una volta lo aveva già salvato e che il delitto fu commesso in un periodo nel quale lui era in ferie. Aiello ha ricordato che vicino a loro sedeva, in altro tavolo, l’on Canino Francesco che ad un certo punto si alzò e al suo indirizzo Bulgarella disse a Lodato che per questa ragione da un mese non parlava con quel politico”. Insomma Bulgarella addebitava a Canino il fatto di non essere intervenuto su Virga per impedire quel delitto.
Canino, morto di recente, è finito anche lui in carcere accusato di mafia, per via proprio di quel tavolino degli appalti, e non solo degli appalti, dove sedeva anche Vincenzo Virga. Per Del Bene l’editore Bulgarella sapeva molto sul delitto di Rostagno e però ha preferito non parlare, finendo anche indagato per false dichiarazioni al pm. Bulgarella è deceduto qualche mese prima dell’avvio del processo. Altri pentiti. Calcara Vincenzo ha parlato di Franco Luppino e Lazzarino che gli dissero che si stava preparando una botta. Calcara ha anche detto che parlando con Vaccarino Antonio questi gli disse che il delitto era stato fatto per proteggere i fratuzzi nostri. Spatola Rosario ha raccontato del fastidio che contro Rostagno arrivava dall avv Antonio Messina di Campobello di Mazara che andava dicendo è tardi quannu la finisci.
Spatola ha fatto anche il nome di Giuseppe Cammisa a proposito della partecipazione di questi in traffici di droga. “Cammisa era ospite della Saman e riferiva all’avv Messina quanto avveniva dentro la comunità”. Marino Mannoia ha parlato del fastidio di Agate contro Rostagno, Francesco Di Carlo chiese informazioni sul delitto Rostagno e seppe così che era un delitto di Cosa nostra aggiungendo: “se non fosse stata la mafia, Cosa nostra avrebbe fatto certamente ricerche per sapere chi era stato e ha aggiunto che rideva a leggere le notizie sulla pista interna”. Il movente. “Il pubblico ascoltava Rostagno perchè si sentiva rappresentato, pensava di essere così aiutato ad alzare la testa…Il giornalismo era diventata la sua nuova missione. Dal 1987 Rostagno aveva colto la necessità di contrastare il fenomeno mafioso anche per ostacolare il traffico e lo spaccio di droga. Un grande impegno civile in un contesto dove si diceva che la mafia non esisteva. Rostagno era stato minacciato….telefonate anonime arrivate in tv”. Circostanze, le minacce, riferite da Chicca Roveri che ha anche ricordato durante le sue ripetute audizioni in aula, l’incontro con il procuratore dell’epoca, Antonino Coci. “Un magistrato che sui giornali andava dicendo che la mafia non esisteva.
Mauro Rostagno avvertiva il suo pericolo di vita rispetto alla sua attiivtà giornalistica mentre tutti gli altri sottovalutavano questo pericolo a cominciare dall’amico Cannas, maresciallo dei carabinieri. Non doveva essere Rostagno a esternare timori ma dovevano esere gli organi istituzinali preposti ad avvertire il pericolo, dovevano essere gli organi dello Stato a valutare i pericoli corsi da Rostagno e per questo il procurtaore Coci uinvitò la Roveri a non dire nulla. Rostagno ha lasciato traccia scritta di cosa pensava del procuratore Coci e del ruolo di garanzia svolto da questi”. “Montanti (ex comandante del nucleo operativo dei carabinieri, venuto a parlare di un delitto commesso alla carlona per via di quel fucile scoppiato) e Coci – ha proseguito Del Bene – non rappresentano tutto l’apparato dello Stato impegnato contro Cosa nostra. C’era all’epoca a Trapani anche Rino Germanà capo della Mobile che invece presentò un rapporto alla Procura con il quale indicava la pista mafiosa, ma non trovò appoggi negli inquirenti”. “Montanti si definii passacarte di lusso. Germanà per le sue conoscenze nel settembre 1992 sfuggì ad un attentato mafioso”.” Lo sviluppo delle indagini – ha ancora affermato il pm Del Bene – è colmo di inerzia ed omissioni di alcuni investigatori, contesto che ha condizionato le indagini, altri, come Germanà, che partirono sparati contro la mafia hanno rischiato la vita”.
Ed ancora: “E’ una vergogna avere introdotto certe piste diverse da quella mafiosa, in questo processo. Questo è un processo che andava fatto a un anno dal delitto. Siamo stati tre anni impegnati a parlare di stupidaggini. Nel 1988 Rostagno era l’unico giornalista a parlare di mafia. Oggi nel 2014 resta ineguagliato, resta l’unico giornalista ad avere alzato i toni contro la mafia in questo territorio certamente”. “Nel 1988 tutti facevano finta di niente, a cominciare dal procuratore della Repubblica Coci che nonostante il rapporto Germanà ebbe a dire che nessun investigatore aveva mai presentato a lui rapporti avvaloranti la presenza della mafia nel territorio”. “Rostagno non faceva che questo, denunciava la presenza mafiosa dinanzi al largo silenzio delle istituzioni e credo bene che Agate, come hanno detto alcuni collaboratori di giustizia, quando mangiava e ascoltava il telegiornale di Rtc si innervosiva”. Punto alto dell’attività giornalistica di Rostagno sono state le cronache e gli editoriali dove faceva nomi e cognomi di uomini delle investigazioni contigui all’organizzazione criminale mafiosa. Il punto di partenza resta il processo per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari.
L’esame giornalistico del dibattimento condotto da Rostagno ha messo in evidenza le connessioni tra la mafia trapanese e quella catanese, una serie di rapporti vissuti in chiave imprenditoriale. Rostagno ha scritto dei cavalieri del lavoro catanesi arrivati a Trapani. “Addirittura Rostagno ha accennato alla figura mafiosa dell’imprenditore Francesco Pace la cui rilevanza mafiosa verrà accertata solo negli anni 2000. Si interessò molto Rostagno della costruzione dell’aeroporto di Trapani dove erano impegnati Pace e i cavalieri del lavoro di Catania, la massoneria, la politica col ministro Ruffini. Per queste cose che diceva per la mafia era pericolosa l’attività giornalistica di Rostagno. “Rostagno in un certo senso assolveva ad un ruolo di supplenza rispetto all’assenza della procura di Trapani, del procuratore Coci. E’ questa l’eccezionalità del giornalista Mauro Rostagno”. E la mafia ha deciso di non restare inerme dinanzi a quegli schiaffi che riceveva da Rostagno ogni giorno: “Tutto quello che denunciava Rostagno è risultato pienamente riscontrato. La mafia non poteva fare altro che infastidirsi perchè ogni giorno Rostagno la colpiva nella carne, negli interessi di Cosa nostra”. Non meno virulenti sono stati poi i servizi dedicati alla “munnizza” che all’epoca devastava la città di Trapani. Anche in questo caso non si è limitato ad essere fonte di informazione ma accendeva i riflettori sugli illeciti guadagni. In quel periodo uno degli affari della mafia era quello del traffico dei rifiuti. Fu accertato molti anni dopo il delitto,che Virga con il commercialista Messina aveva costituito società per lo smaltimento dei rifiuti. Anni dopo il delitto è emerso l’interesse di Virga per la gestione dell’impianto di riciclaggio costruito a Trapani in contrada Belvedere. Rostagno massacrava la classe politica trapanese, parlava del municipio additandolo come Palazzo d’Alì e dei 40 ladroni, riferendosi così ad una serie di arresti che all’epoca venivano compiuti. Non risparmiava alcun politico e alcuna formazione politica, attaccava la burocrazia, rappresentava come la cosa pubblica a Trapani era vista da tutti come un osso da spolpare.
Nei suoi editoriali c’era sempre la questione morale in primo piano. A Trapani quei suoi interventi stavano facendo respirare un clima nuovo, “una nuova primavera”. La reazione dei politici fu eclatante, come quella dell’on. Bartolo Pellegrino (pochi anni addietro prescritto per l’accusa di corruzione da parte della mafia e assolto dal concorso esterno) che invitò Rostagno ad andare a zappare. “E’ mai possibile che noi siamo condannati a rivivere sempre scene di schiavi che appena arriva un politico si inginocchiano e baciano. Siamo noi a non volercene liberare”. E Rostagno faceva vedere quelle immagini. Del Bene ha così ricordato, con toni accesi, una convention della Dc trapanese, oggetto di un suo servizio giornalistico, dove veniva accolto come un dio in terra l’on. Francesco Canino. Rostagno era apprezzato dalla gente perchè le sue domande erano quelle di un giornalista che non si accordava con il politico…
Esempi? L’attacco di Rostagno a Giuseppe e Luigi Manuguerra consiglieri comunali del Psdi….Luigi Manuguerra arrestato per vendita di posti di lavoro, il padre arrestato per detenzione di armi, millantato credito ed altro. La dinasty dei Manuguerra (Luigi Manuguerra non è uscito di scena, è oggi uno degli indagati per pressioni esercitate a testi del processo contro il senatore D’Alì). Rostagno dava fastidio perchè aveva scoperto un punto nevralgico cioè quello del connubio tra la politica corrotta e la mafia, rapporto mediato dalla logge massoniche. E non a caso Rostagno si interessò parecchio alle vicende della loggia massonica celata a Trapani dietro il centro culturale Scontrino, la Iside 2 del gran maestro Gianni Grimaudo. Una loggia dove furono trovati scritti mafiosi, politici, professionisti, funzionari di questura e di prefettura, bancari. IL pm Del bene in aula ha fatto l’elenco degli iscritti, tanti nomi ancora oggi in auge. “Da giornalista d’inchiesta si è occupato della Iside 2, scoprendo i collegamenti e le presenze a Trapani di Licio Gelli, tanto da venire convocato dai carabinieri (Maresciallo Cannas) convinti che Rostagno, giornalista, sapesse della Iside 2 più di loro stessi investigatori, quasi che poi l’intervento dei carabinieri servisse a indurre Rostagno a limitare la sua attività…Verbali che sono entrati in questo processo solo a dibattimento avviato, mai introdotti nel fascicolo delle indagini”.
Il pm Del Bene ha ricordato le testimonianze dei cc Montanti e Cannas, quest’ultimo disse di avere trasmesso quei verbali al suo superiore, Montanti che si era definito passacarte di lusso “in questo caso si è dimenticato di trasmettere queste carte alla magistratura che indagava sul delitto, carte rimaste nascoste in un cassetto e venute fuori dopo che sul giornale La Sicilia vennero pubblicati quei verbali alla vigilia di una udienza del processo”. “In quel verbale Rostagno si mostrava a conoscenza di fatti importanti, Rostagno li ha pure elencati e però nessuno gli fece le domande per andare più a fondo con l’inchiesta, non gli ha fatto le domande il maresciallo Cannas che era la punta di diamante del nucleo operativo…i carabinieri non hanno fatto le domande e non hanno trasmesso quel verbale…. Sul capo della P2 Gelli Rostagno si è dimostrato molto informato anche a proposito delle sue ripetute presenze a Trapani, presenze confermate in dibattimento anche dal pentito Di Carlo. Ma gli investigatori invece di accendere le luci su questi fatti scoperti da Rostagno non fecero nulla. Il 23 marzo 1988 Rostagno si è limitato a confermare lìincontro con il massone Torregrossa.
Il giudice istruttore che faceva le indagini sulla Iside 2 addirittura è risultato avere chiesto informazioni a un giornalista, quella indagine andava avanti da due anni e chi se ne occupava non aveva raggiunto il livello di conoscenza che invece aveva raggiunto Rostagno”. Ma una forte sottolineatura Del Bene l’ha fatta sulla circostanza che giudici come Carmelo Lombardo e Massimo Palmeri, direttamente il primo, indirettamente il secondo, sono risultati “toccati” dalla Iside 2. “Palmeri aveva la moglie che insegnava in corsi di formazione gestiti da Grimaudo, anni dopo risulterà essere quel magistrato che chiese richiesta di archiviazione delle indagini sul delitto Rostagno”. Il processo prosegue domani. Ancora requisitoria, in serata la conclusione con le richieste dei pm che appaiono scontate, saranno richieste di condanna per i due imputati Virga e Mazzara.
* Portavoce Articolo21 Circolo di Trapani