Parliamo di contratto dei giornalisti. Il contratto Fnsi-Fieg, che è scaduto il 31 marzo 2013 e il cui rinnovo è arrivato a un momento decisivo, quello della stretta finale, che se non dà i frutti sperati porta al fallimento dell’intera trattativa. Una trattativa che non ha seguito il percorso tradizionale e rassicurante che tanti sembrano rimpiangere: la predisposizione della piattaforma da presentare agli editori, una delegazione amplissima agli incontri con la controparte, le discussioni vere fatte da pochissimi al chiuso di una stanza, un’intesa finale che – nella gran parte dei casi che si ricordino – era completamente diversa dalla piattaforma iniziale. Fino a oggi, per essere chiari fino in fondo, in questa trattativa non c’è alcun testo concordato, ma solo elaborazioni e proposte delle parti, quasi sempre discorsive e senza la forma di un articolato contrattuale.
Lo scenario preoccupante in cui si colloca questo rinnovo l’ha descritto con crudezza ed efficacia il segretario Franco Siddi, nella sua comunicazione alla categoria di giovedì 24 aprile. Comprese le difficoltà che a causa della crisi attraversa il welfare dei giornalisti, a partire dall’Inpgi, e senza tacere i rischi di una rottura del negoziato con gli editori. Sui singoli capitoli in cui potrebbe articolarsi il rinnovo contrattuale, invece, corrono sulla Rete ricostruzioni suggestive (quanto errate), resoconti di parte e alcune illustrazioni troppo lunghe e confuse per chiarire ai colleghi le ipotesi in gioco. Vale la pena provare a fare schematicamente chiarezza sui quattro punti (più uno) che di fatto dovrebbero andare a costituire il Cnlg rinnovato: lavoro parasubordinato, ripresa dell’occupazione, aliquota straordinaria per l’Inpgi, aumento delle retribuzioni (più la cosiddetta “ex fissa”). Sapendo che anche le ipotesi più avanzate potrebbe subire repentini ripensamenti o revisioni, nelle ultime (e cruciali) ore della trattativa. E sgombrando subito il campo su quello che, in ogni caso, non sarà, l’intesa possibile con gli editori. Per lasciare spazio a quello invece che deve necessariamente essere.
PROSEGUE IL CONFRONTO SULLA MULTIMEDIALITÀ
Il rinnovo contrattuale non sarà quella svolta verso la multimedialità e la crossmedialità, non più abbandonate alle sperimentazioni e all’arbitrio di molti editori ma inquadrate in percorsi organici e in previsioni e garanzie certe, che tanta parte dei colleghi aspetta e chiede, e non da pochi anni. Su questo punto la delegazione Fnsi si è in verità molto spesa, un anno fa, in più riunioni di un gruppo di lavoro bilaterale propedeutico alla trattativa vera e propria dove gli editori avevano dal loro canto schierato i rappresentanti di quattro grandi gruppi: Caltagirone, Espresso-Repubblica, Mondadori e Rcs. Purtroppo, le possibili intese (in stadio avanzato) su nuove organizzazioni di lavoro e innovative figure professionali da introdurre nel contratto si sono scontrate con la volontà della Fieg di coniugarle con tagli e riduzioni di elementi economici quali ferie, domeniche, festivi, notturni, straordinari. Inaccettabili, ancora di più in un periodo in cui tante redazioni sono già segnate da stati di crisi, contratti di solidarietà, cigs, e conseguente contrazione delle retribuzioni di fatto dei colleghi.
L’occasione dell’innovazione non è stata però persa. Rinviata sì, purtroppo. Ma con un impegno reciproco – tra Fnsi e Fieg – a tenere aperto il confronto e a svilupparlo, a partire da subito dopo l’auspicabile firma di questo rinnovo contrattuale.
I CAPITOLI DELL’ACCORDO
Quello che invece sarà, se ci sarà, il possibile nuovo Cnlg, è un accordo di tenuta del sistema, come è stato definito, che punti alla salvaguardia del nostro Istituto di previdenza, attraverso risorse aggiuntive a carico degli editori e politiche di ripresa dell’occupazione, che apra le porte in maniera più decisa ai colleghi parasubordinati, che porti un aumento nelle retribuzioni base, soprattutto di chi oggi guadagna meno. E, infine, che affronti e superi il fallimento della “ex fissa”.
1) LAVORO PARASUBORDINATO
È l’elemento di vera novità del rinnovo contrattuale. E pure quello più contestato, per le grandi (e giustificate) aspettative riposte sul punto dai colleghi freelance. Per capire il percorso della trattativa e le ipotesi di accordo in discussione bisogna però prima di tutto usare le parole giuste: non stiamo parlando di lavoro autonomo tout court, ma di giornalisti parasubordinati. Tutti coloro che collaborano di fatto in forma continuativa e coordinata con le redazioni (anche se costretti ad aprire partite Iva), garantendo in molti casi un flusso consistente (e irrinunciabile) di lavoro e di articoli, e che hanno diritto a un rapporto contrattuale definito e a garanzie certe: compensi mensili inseriti in un cedolino con tracciabilità dei pezzi scritti, versamenti previdenziali, anche complementari nel fondo giornalisti, polizza infortuni, il diritto alla firma, nessun vincolo di esclusiva, e altri su cui si sta discutendo, come la Casagit.
L’equo compenso, per intenderci, è un’altra cosa. Anche se è innegabile che la forza di una legge, su cui tanto si è impegnata la Fnsi nelle sue varie rappresentanze (in particolare, la Commissione lavoro autonomo), e la richiesta governativa di provare a trovare un accordo tra le parti sindacali, hanno lavorato da propulsore all’approccio a un tema che la Fnsi insegue da vent’anni. E che oggi potrebbe trovare un avanzamento consistente rispetto ai cinque articoli dell’Accordo collettivo nazionale contenuto nel Cnlg.
Quando, dunque, si ha diritto a vedersi riconosciuto lo status di cococo? Le variabili, dipendenti tra loro, sono due: un compenso minimo annuo pari a 3 mila euro lorde a cui corrisponde una prestazione media mensile calcolata in numero di articoli (diversi, anche per lunghezza, tra differenti mezzi di informazione). Facciamo un’ipotesi, verosimile ma solo esemplificativa: poniamo che il collaboratore di un quotidiano in un anno scriva una media di dieci articoli al mese, di lunghezza (sempre media) di 1.500 battute. In questo caso dovrà essere necessariamente inquadrato come cococo, e riceverà un compenso annuo lordo appunto di almeno 3 mila euro. Se supererà questa media, il suo guadagno ovviamente aumenterà, con un “moltiplicatore” che potrebbe non essere perfetto: ipotizziamo che ogni altri dieci articoli medi al mese si aggiungano 2 mila euro l’anno. Questo significa che chi oggi scrive due pezzi al giorno, diciamo 40 o 50 in un mese (tipicamente un collaboratore locale), arriverebbe a una retribuzione da 9 mila o 11 mila euro l’anno: più di quanto prende come minimo contrattuale un corrispondente articolo 12 di fascia alta (fatti salvi ulteriori compensi a pezzo, comunque da contrattare tra le parti). Un elemento che potrebbe (dovrebbe) indurre gli editori a stabilizzare il collaboratore, assumendolo.
Per i periodici, i numeri sono inevitabilmente diversi: molti meno articoli ma più lunghi (l’ipotesi è tra 2 e 3 al mese per i settimanali, da 1.800 battute medie), per arrivare alla soglia dei 3 mila euro annui, con “moltiplicatore” da individuare. Qualcuno ha voluto calcolare il compenso unitario per articolo. Comprensibile, ma fuorviante (in alcuni casi, volutamente…). Perché la logica è diversa: non è un tariffario, è la retribuzione di una prestazione, fissata in un minimo contrattuale. Per i lavoratori dipendenti, l’unità di misura è l’ora lavorata, per chi non ha, e non deve avere, vincoli di orario, di subordinazione, di rispetto delle gerarchie redazionali, l’unità è il numero di articoli scritti. Altrimenti, si diventa appunto subordinati.
Eppure, quanti cococo siedono al nostro fianco nelle redazioni, e magari non scrivono pezzi ma lavorano come un giornalista assunto qualunque? È vero. Ma per loro nessun accordo potrebbe tenere: sono e restano abusivi e hanno diritto all’assunzione da articolo 1. Operazione non semplice, in tempi di crisi. Ma che alimenta un altro punto del rinnovo contrattuale.
2) RIPRESA DELL’OCCUPAZIONE
Con oltre 2 mila posti di lavoro spariti nei cinque anni dal 2009 e il 2013, di cui circa 1.650 solo nelle aziende Fieg, e un ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali che sembra non avere fine, nessuno può dubitare che l’obiettivo vero, anche e soprattutto per tenere in piedi il sistema di welfare dei giornalisti, deve essere rimettere in moto l’occupazione, puntando a una ripresa delle assunzioni. In particolare, la stabilizzazione dei precari, con regolarizzazione dei falsi cococo o partite Iva, l’ingresso di giovani e il ritorno al lavoro dei tanti cinquantenni disoccupati per colpa della crisi. Il rinnovo contrattuale può porre alcune condizioni per favorire l’occupazione, dalla possibilità – ancora tutta da verificare – di introdurre l’apprendistato conciliandolo con il praticantato per i giovani fino a 29 anni, fino a ipotesi di minimi contrattuali ridotti per stabilizzazioni e assunzioni di disoccupati, come è stato fatto anche in passato.
Uno sforzo non potrà che arrivare, ancora una volta, dall’Inpgi, che nel rinnovo biennale economico di tre anni fa aveva varato un’importante manovra di sconti previdenziali per le assunzioni a tempo indeterminato. Nonostante le difficoltà contabili, l’Istituto potrebbe ipotizzare un nuovo, coraggioso intervento, con aliquote ridotte variabili per contratti a tempo indeterminato (più basse) ma anche a termine. Senza nuova occupazione e un turn over che torni positivo, del resto, nessuna aliquota aggiuntiva da sola sarebbe in grado di garantire la stabilità dell’Inpgi nel medio-lungo periodo: i sacrifici sostenuti dall’Istituto sarebbero insomma una sorta di investimento sul futuro. Una parte importante deve però arrivare soprattutto dalle risorse economiche del fondo straordinario governativo da 120 milioni in tre anni di cui si attendono a brevissimo i decreti con i regolamenti attuativi. E che, nelle previsioni, dovrebbero andare a favorire in particolare l’assunzione di giovani.
3) ALIQUOTA STRAORDINARIA PER L’INPGI
Sempre dal fondo straordinario governativo si attendono risorse per gli ammortizzatori sociali, in particolare i prepensionamenti, collegati a nuove assunzioni. Ma questo non sarà minimamente sufficiente a dare vero ossigeno alle casse dell’Inpgi, che allo squilibrio palese tra uscite (che sono spese per pensioni e mancato introito per contribuzioni) e scarsissimi ingressi (a retribuzioni ben più basse) ha aggiunto in questi anni il costo per cigs, contratti di solidarietà e disoccupazione. Ecco perché è indispensabile introdurre con il rinnovo contrattuale un’aliquota straordinaria (intorno all’1%) a carico degli editori, destinata in maniera specifica agli ammortizzatori sociali, il cui importo dovrebbe tornare – una volta terminata l’emergenza – nelle buste paga dei colleghi.
4) AUMENTO DELLE RETRIBUZIONI
Una percentuale simile, intorno all’1%, dovrebbe essere destinata agli aumenti retributivi, con un meccanismo da definire che dovrebbe favorire chi ha minimi contrattuali più bassi. Non saranno grandi cifre, per un contratto che ha altri obiettivi e che concentra il costo pagato dagli editori su altri capitoli. Ma è comunque anche simbolicamente importante non trascurare – pure in tempi di crisi – la dinamica salariale, che ha effetti su tutti gli istituti contrattuali e sulla contribuzione previdenziale.
IL FALLIMENTO DELL'”EX FISSA”
Uno dei capitoli che più risorse, economiche e di tempo, sta impegnando è quello della cosiddetta “ex fissa”. Che pure andrebbe considerato collaterale e aggiuntivo rispetto al rinnovo contrattuale. Parliamo di un istituto creato 30 anni fa, in tempi di vacche molto grasse, che rimpiazzava l’indennità sostitutiva del preavviso prevista per chi andava in pensione e fino ad allora pagata direttamente dalle aziende, con un meccanismo che nasceva già malato, oltre che iniquo per definizione. Gli editori versano infatti in un fondo l’1,5% del monte retributivo di tutti i giornalisti dipendenti a tempo indeterminato, cioè non in maniera individuale e identificabile per posizione, e questa massa di denaro serve a pagare l’ex fissa di chi, al momento della pensione, ne ha diritto, avendo lavorato per oltre 15 anni per la stessa azienda (o anche meno, dopo una certa età). L’aberrazione del meccanismo prevedeva il calcolo della somma da pagare in mensilità (variabili per qualifica: da 7 a 13) relative alla retribuzione del penultimo mese di lavoro. Oltre a contemplare pure la maturazione (e il pagamento) di più di una “ex fissa” nell’arco della vita lavorativa. Per farla breve, abbiamo finora pagato tutti, ma non tutti hanno conquistato il diritto a ricevere indietro qualcosa. Io, per esempio (scusate la citazione personale), in 28 anni di contratti di lavoro, non ho mai raggiunto i 15 anni consecutivi in una sola azienda. E come me, immagino, molti molti altri colleghi. Che pure hanno contribuito ad alimentare il fondo ex fissa.
Ebbene: questo fondo è fallito, com’era prevedibile, sotto l’urto fatale dell’enorme aumento di pensionamenti (e prepensionamenti) degli ultimi anni. È fallito nel senso che non è solo vuoto, ma ha già debiti per quasi 100 milioni di euro, con oltre mille colleghi in attesa di ricevere quanto previsto e la prospettiva di vedere qualcosa anche tra dieci anni e più.
Di fronte a questo scenario, la prima reazione sarebbe netta: chiudiamo il fondo, e non se ne parla più. In definitiva, è un debito degli editori, di cui l’Inpgi è solo il tramite per i pagamenti. Chi ha conquistato il diritto “perfetto” (i 15 anni e l’accesso alla pensione), potrebbe quindi rivalersi direttamente sul proprio editore (almeno quelli la cui azienda non è nel frattempo fallita, e non sono pochi), per tutti gli altri ancora al lavoro l’istituto contrattuale verrebbe meno, liberando l’1,5% di risorse (anche se difficilmente gli editori cederebbero a riconoscere l’aliquota per intero, dovendo pagare a proprio carico le ex fisse in attesa…). Una ipotesi di disimpegno sinceramente improponibile e inaccettabile, per il Sindacato e per la categoria. Anche perché una spesa immediata di milioni per alcuni editori rappresenterebbe un onere elevato, che cercherebbero di recuperare magari con un maggior ricorso agli ammortizzatori sociali.
La soluzione su cui si potrebbe trovare l’intesa con gli editori, e su cui mille strali sono già stati lanciati, richiede sacrifici e passi indietro da parte di tutti, in un equilibrio imperfetto ma comunque meno iniquo rispetto al meccanismo di base della ex fissa. Perché – diversamente da prima – garantirebbe comunque qualcosa a tutti.
Proviamo a descriverla per punti, considerando che si tratta – come per gli altri temi – di ipotesi sul tavolo, non di intese già raggiunte:
– gli editori ottengono un prestito, probabilmente dall’Inpgi, per far fronte progressivamente agli arretrati, aumentando l’aliquota sul monte retribuzione dall’1,5% all’1,85%;
– chi è in attesa delle somme, le riceverà a rate mensili, da subito, invece di attendere molti anni, preservando il diritto alla rivalutazione degli importi residui;
– chi è al lavoro, ma ha già superato i 15 anni di anzianità aziendale (in tutto poco meno di 2.800 giornalisti) al momento della pensione prenderà la ex fissa ma con regole nuove (da definire nei dettagli): numero inferiore di mensilità e calcolo su una media retributiva, un tetto alle somme (intorno ai 65 mila euro), rateizzazione, non cumulabilità delle ex fisse (una sola e basta);
– chi ha meno di 15 anni di anzianità aziendale, e quindi non ha raggiunto neppure uno dei requisiti richiesti per aver diritto alla ex fissa, vede trasformato l’istituto in una contribuzione previdenziale aggiuntiva, da versare al Fondo complementare o in altro “contenitore” che permetta un calcolo individuale, quello che viene chiamato castelletto personale. Per i primi anni la contribuzione dovrebbe essere dello 0,25%, per salire dopo qualche anno allo 0,5% e aumentare ancora fino all’intero 1,5% al superamento completo della ex fissa;
– in aggiunta a questa contribuzione, in via di “indennizzo” perché rappresentano la categoria più penalizzata, chi ha oggi tra 10 e 15 anni (non compiuti) di anzianità aziendale, dovrebbe avere una cifra tra 2 e 10 mila euro (rivalutata) al momento di andare in pensione.
IL TEMPO DELLE DECISIONI
Questi sono i quattro punti (più uno) di cui si discute – a oggi – sul tavolo del possibile rinnovo contrattuale. E che i colleghi devono valutare con attenzione. Perché arriva sempre – in questo caso, spero presto – il momento di prendere una decisione finale. Anche se difficile e non completamente soddisfacente. Il momento di credere che sia la scelta comunque necessaria, quindi giusta. E di sostenerla davanti alla categoria.
* Vicesegretario Fnsi