Oggi è il 10 aprile, a las cinco de la tarde, il giudice di sorveglianza di Milano prenderà in esame il caso di Silvio Berlusconi, settantottenne condannato in via definitiva per truffa allo stato, che dovrà scontare qualche mese agli arresti domiciliari o, più probabilmente, verrà affidato ai servizi sociali per un periodo di rieducazione. “Posso aiutare e motivare i disabili” è la frase che il Corriere della Sera attribuisce all’ex premier ed ex senatore. Giannelli ironizza, mostrando un plotone di vecchiette che lo attorniano chiedendogli: “perché non facciamo una cena elegante?”
Il Giornale si indigna sostenendo ancora una volta che “Berlusconi è innocente” e gli attribuisce una delle sue frasi clou: “la sinistra vuole condannarmi con il suo braccio giudiziario”. Il virgolettato di Repubblica, a pagina 10, è ancora più minaccioso: “Senza agibilità politica scateneremo l’inferno”. E questo, scusate, è troppo. Non ho mai infierito su Berlusconi, non lo farò oggi che è in disgrazia. Ma quando alla fine di un lungo cammino iper garantista si finisce, comunque, con l’essere condannato, un periodo di silenzio sarebbe decente. Invece no: il capo di Forza Italia, con il suo nome nel simbolo perché sia gridato nei comizi e in televisione, vuole partecipare alla campagna elettorale pure nel breve tasso di tempo in cui dovrebbe “rieducarsi”. A sua tutela e per il nostro comune decoro gli avrei imposto il silenzio.
Il titolo principale lo fa la Consulta. “Fecondazione assistita fuori dalla coppia. É una svolta storica”, Repubblica. “Svolta sulla fecondazione”, Corriere. “Dalla Consulta via libera al donatore esterno”, la Stampa. Dalla Chiesa cattolica si levano voci di protesta. “Un figlio è dono di Dio, nessuno si fabbrichi quel che Dio gli ha negato”. Per carità, ma non si comprende perché la Chiesa debba imporre la sua morale.
Il Papa condividerà le ragioni di Famiglia Cristiana per l’uso e l’abuso che si potrà fare di certi diritti, ma lui per primo ha avvertito il gregge che anche chi sta fuori ha un’etica e che il cristiano deve scegliere il dialogo, non la prevaricazione.
Tuttavia la sentenza mi offre il destro per riflettere sulle buone leggi, in materia di rappresentanza e Costituzione. Con l’aiuto del Fatto Quotidiano. La legge 40 è del 2004, quando la maggioranza Berlusconi, Casini, Fini, Bossi, rafforzata dal premio del Mattarellum già traballava. E ricorse al tema etico, fece suo l’anatema della Chiesa cattolica. Del 2004 è anche la Bossi Fini. Del 2006 la Fini Giovanardi. Del 2008 e del 2009 i pacchetti “sicurezza” e il “lodo Alfano”.
Sono tutte leggi approvate, sconfessate, dopo anni, dalla Corte Costituzionale e che erano state approvate da un Parlamento eletto con sistemi maggioritari. Da maggioranze già traballanti che provavano a rinsaldarsi spaccando il paese, tra filo immigrati e protettori degli indigeni, lassisti e rigoristi (coi ladri di polli), assassini di Eluana e sostenitori del diritto alla vita. Invece, in un’Italia, sì scossa dal 68, ma ancora a stragrande maggioranza cattolica e democristiana fu approvata, nel 1970 da un parlamento eletto con la proporzionale, la legge Fortuna, che introduceva il divorzio.
Vuol dire che dobbiamo rinunciare al valore feticcio degli ultimi 20 anni, alla governabilità? No, vuol dire che dobbiamo piantare ben saldi alcuni paletti che rendano le questioni costituzionali, etiche e di civiltà il più possibile fuori dalla portata di maggioranze contingenti che governano grazie a un premio di maggioranza previsti da questa o quella legge elettorale. Vuol dire che bisogna garantirsi che il capo partito e il capo coalizione non scelga uno per uno i parlamentari, in modo da non tradire, nei fatti, l’articolo 67 della Costituzione, quello che detta che ciascun parlamentare rappresenti la nazione, senza vincolo di mandato. A buon intenditor