‘’Piuttosto che queste accuse, caro Enzo, dal mio Ordine mi aspetterei innanzitutto una riforma seria e soprattutto in tempi rapidi, perché ormai siamo al limite del tempo massimo che ci è consentito’’. ‘’Dall’ Ordine mi aspetterei anche una serie riflessione sulle prospettive del sistema informazione, sulle risorse che ragionevolmente possono essere in campo e possono essere reperite, così come un impegno forte sulla ridefinizione dei confini della professione, mai come oggi incerti’’
Lo afferma Paolo Ciampi, presidente dell’ Associazione stampa toscana, in una lettera aperta al presidente dell’ Ordine, Iacopino, in cui contesta contenuti e toni della sua replica al documento diffuso da 12 associazioni regionali di stampa. E propone un confronto pubblico a Firenze, in nome della omonima ‘’Carta’’.
Caro Enzo,
nella stima che ho per te e per il tuo impegno al vertice del nostro Ordine vorrei esprimerti la mia sorpresa per i contenuti e per i toni della tua replica al documento con cui 12 Associazioni di stampa, tra cui quella presieduta dal sottoscritto, hanno contestato l’esclusione del collega Pino Rea dalla commissione per la riforma. La riforma, sono convinto, è di tutti coloro che vivono o vogliono vivere di questa professione. Per questo almeno questa commissione avrebbe dovuto sfuggire alla logica delle relazioni tra maggioranza e minoranza e comunque delle appartenenze. E per questo sono anche convinto che, al di là delle simpatie e appunto delle appartenenze, la figura di Pino abbia un particolare significato proprio all’interno di questa commissione, non fosse altro che è uno dei pochi colleghi ad aver formulato una proposta organica di riforma, condivisibile o meno che sia.
Ma non è questo che ti voglio dire, anche perché ignoro i criteri che hanno presieduto a questa esclusione. Quello che sinceramente non posso accettare è che si parli della mia Associazione come di un sindacato che nei confronti di precari e collaboratori “guarda dall’altra parte”, tanto che, sono le tue parole, le nostre affermazioni “hanno con la verità lo stesso rapporto che la tutela dei colleghi ha con le loro scelte, come dimostrano le testimonianze di permanente sfruttamento che ormai vengono indirizzate all’Odg e non al sindacato che sembra occuparsi di altro”.
In tutta sincerità, come non mi permetto di mettere in discussione il valore e la sincerità del tuo impegno sul terreno dell’ equo compenso o della carta di Firenze, pretendo uguale rispetto per l’ impegno quotidiano che profonde un sindacato come quello toscano – non diversamente penso dalle altre “sorelle” che accomuni in una condanna senza appello.
Certo non rispondo dei Cdr che allo stesso modo chiami in causa come strutture che “fanno capo a queste associazioni”, cosa non vera, visto che, giusto o meno che sia, si può essere membro di un cdr senza essere iscritto al sindacato, oppure firmare un accordo aziendale a prescindere. E certo anch’ io vorrei i Cdr in genere più rappresentativi, più attenti ai più deboli, più coraggiosi.
Però ti posso dire che nella sede dell’ Associazione Stampa c’ è la fila di colleghi che chiedono ascolto e tutela. Sono quasi tutti precari e collaboratori, molto più che contrattualizzati, come è giusto. Anzi, i non contrattualizzati sono in maggioranza tra gli iscritti rispetto ai contrattualizzati: e un motivo ci sarà. Non abbiamo bacchette magiche e nemmeno sosteniamo di averle, perché sono convinto che il buon senso, unito all’ ”esserci” sempre e comunque, sia migliore di qualsiasi demagogia. Se accusi me e le altre “sorelle” di un comportamento “non vedo-non sento-non parlo” io non intendo restituire al mittente queste accuse, perché non sarebbe giusto, però sono sicuro che in questi anni è questo che ha fatto la mia associazione: vedo, sento, parlo. E credo che nessun collega si sia rivolto a noi trovando una porta chiusa.
Allo stesso modo non posso accettare l’accusa di non “aver fornito all’Odg documenti opponibili agli interessati”. Non capisco cosa voglia dire, ma immagino che si tratti di iniziative relative alla Carta di Firenze. Ora, premesso che sono orgoglioso di vivere nella città che ha dato il nome a quella carta e che l’ Ast a suo tempo ha dato un contributo non irrilevante alla manifestazione che quella carta ha prodotto, prendo atto che anche da parte dell’Ordine nazionale la prima iniziativa effettiva è arrivata a distanza di due anni: non mi pare che si sia trattato di molto di più di “girare” agli Ordini regionali, per competenza, alcune segnalazioni. Come è perfino fisiologico, perché credo che si condivida la valutazione che dare gambe a questa carta è un fatto delicato e complesso.
Ma il fatto è un altro: ed è che da presidente di un sindacato regionale anche in questi ultimi mesi ho firmato decine e decine di esposti e segnalazioni. Privilegiando ovviamente gli organismi che ritengo competenti, dal punto di vista dell’ azione sindacale e della sua efficacia. Ho inviato richieste di ispezioni all’ Inpgi, ho segnalato alle istituzioni casi di contributi assegnati fuori dalle regole, mi sono rivolte alle direzioni del lavoro e agli assessorati al lavoro, ho segnalato all’Ordine casi di esercizio abusivo, mi sono rivolto ai tribunali, magari coprendo le spese legali a qualche collega collaboratore o senza lavoro. E ovviamente in alcuni casi mi sono rivolto anche al consiglio di disciplina. Sono convinto e orgoglioso di quello che ho fatto e lo rifarei. Ma di nuovo non accetto di essere indicato come “colui che si volta dall’altra parte”. E non usiamo alibi rispetto alla carta di Firenze, rinfacciandoci che in questi anni non avremmo fatto arrivate nemmeno una copia di contratto. Copie peraltro facilissime da procurarsi come dimostra la tua egregia campagna su Facebook.
Piuttosto che queste accuse, caro Enzo, dal mio Ordine mi aspetterei innanzitutto una riforma seria e soprattutto in tempi rapidi, perché ormai siamo al limite del tempo massimo che ci è consentito. E riforma sera significa tra le altre cose regolare con rigore l’accesso alla professione, senza indulgere a una demagogia, da qualsiasi parte venga, che alimenta aspettative e produce “guerra tra poveri” o, per dirla con parole di altre generazioni “esercito industriale di riserva”. Demagogia – e lo so che è dura affermarlo, soprattutto impopolare – significa tra l’altro non ricordare che se nel mercato dell’informazione più maturo e importante al mondo, gli Stati Uniti, non c’è posto per più di 40 mila giornalisti che fanno la professione, forse non si può sperare che in Italia possano sperare di vivere di giornalismo più di 100 mila persone. Fermo restando, ovviamente, che ogni lavoro ha diritto ha una sua retribuzione dignitosa.
Dall’Ordine mi aspetterei anche una serie riflessione sulle prospettive del sistema informazione, sulle risorse che ragionevolmente possono essere in campo e possono essere reperite, così come un impegno forte sulla ridefinizione dei confini della professione, mai come oggi incerti: perché oggi si può pensare che il giornalismo è anche altro, pensiamo ai social media, ed è un peccato che certe opportunità non siano colte; ma allo stesso tempo, una volta ridefinita la professione, bisogna essere assai più rigorosi nella battaglia contro l’esercizio abusivo, magari offrendo anche strumenti che oggi mancano nelle nostre realtà regionali.
Ecco, caro Enzo, di questo mi piacerebbe parlare, al di là delle diverse visioni e delle rispettive scelte, sempre tenendo fermo il fatto che il sindacato deve fare il sindacato e l’ordine deve fare l’ordine.
E mi piacerebbe che tutto questo potesse essere occasione di un confronto pubblico, perché no, magari da ospitare nella stessa città che ha tenuto a battesimo la Carta di Firenze. Io ci sono.
Con stima, Paolo Ciampi
Da lsdi.it