La modifica della nostra formula bicamerale è al centro del dibattito sulle riforme costituzionali da almeno 30 anni, a partire dai lavori della c.d. Commissione Bozzi a metà degli anni ’80. Oggi il tema sembra avviato alla dirittura d’arrivo, ma le proposte che circolano tengono assai poco conto di quanto detto, scritto e proposto negli anni che ci stanno alle spalle. In sintesi: posto che ogni Paese a forti autonomie territoriali ha una seconda Camera che integra la rappresentanza politica nazionale, ci si è sempre mossi nella prospettiva di fare del Senato una Camera territoriale, rappresentativa degli altri legislatori ( le Regioni ) al doppio fine di coinvolgerli nelle decisioni delle politiche nazionali che hanno delle ricadute sugli interessi la cui cura è affidata ai governi locali e, al tempo stesso, prevenire i possibili conflitti tra centro e periferia.
Sulla base di queste premesse, a parole da tutti condivise, si sono, nel tempo avanzate proposte diverse sia in ordine alla composizione ( elezione diretta, elezione indiretta, sistema misto), sia in ordine alle funzioni ( generalmente consultive e solo in certi casi decisionali e così via).
Ebbene le proposte oggi in discussione si muovono in una prospettiva molto diversa: l’obiettivo sembra molto più semplice, eliminare la seconda Camera o comunque farne un organo sostanzialmente inutile o inefficiente. Si pensi in primo luogo alla composizione che mette insieme la rappresentanza di interessi diversi se non contrapposti come quelli delle Regioni e dei Comuni, secondo un modello che non esiste in nessuna parte del mondo.
Si pensi, in secondo luogo,all’incertezza che c’è circa il “peso” che questi nuovi senatori avrebbero: possibile che un sindaco di un Comune di qualche migliaia di abitanti “pesi” come un Presidente di una grande Regione? Ma, soprattutto, i dubbi riguardano più in generale l’utilità di quest’organo, che in teoria dovrebbe consentire la prevenzione dei conflitti “legislativi” tra Stato e Regioni, quando contestualmente la proposta modifica del Titolo V di fatto azzera la potestà legislativa regionale, riconducendo alla potestà esclusiva dello Stato quasi tutto ciò che può essere oggetto di disciplina legislativa ed elimina la potestà legislativa concorrente delle Regioni. Ferma questa impostazione , la nuova Camera non farebbe che esprimere pareri su leggi statali che, in quanto di competenza ( legislativa ed esclusiva ) dello Stato non avrebbero alcun riflesso su autonome competenze delle Regioni.
Ma, allora, se non si vuol dar vita ad una vera e propria Camera territoriale, non sarebbe meglio ridurre il numero dei parlamentari ( tutti ) e varare una legge elettorale che assicuri una maggioranza sufficientemente ampia in entrambi i rami del Parlamento e lavorare su una più marcata differenziazione di funzioni tra le due Camere e, con l’ausilio dei regolamenti parlamentari, velocizzare i temi del procedimento legislativo?
* Ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Firenze