“Ridono anche di Renzi”, scrive il Giornale. Questa volta ad accennare a un sorrisetto sono stati Van Rompuy e Barroso. Poi aggiunge “Inchiesta sulla casa sospetta del Premier”. I due termini, sorrisi e casa, diventano per il Fatto “una tenaglia” che stringe “Renzi tra Barroso e Carrai”. Carrai è l’amico che pagava al sindaco di Firenze l’appartamento vicino a Palazzo della Signoria dove Renzi ha ieri ammesso di essere andato a stare “ogni tanto”, ma dove pare avesse eletto la sua residenza. L’antifona è chiara: il premier è già nei guai, anche in questo, erede di Berlusconi.
Invece per la Stampa è in corso “una sfida”, per il Corriere “un duello”, per la Repubblica “un braccio di ferro” tra Renzi e i responsabili, in scadenza, dell’Unione Europea. Vero. D’altra parte quello che vuole fare il giovane e ambizioso premier è del tutto trasparente. Sottrarsi, facendo politica, cioè scontrandosi, mediando ma tenendo il punto, alla morsa che rischia di stritolare il paese. Stretto tra un debito enorme, che l’Europa considera problema solo nostro, e una spesa pubblica eccessiva e improduttiva ma difficile da tagliare senza creare altri disoccupati e nuove disperazioni. Diviso (il Paese) tra minoranza di ricchi i cui capitali sono ben protetti all’estero o dall’illegalità diffusa e dalle regole del neo liberismo tutte a favore del denaro, e un mondo di lavoratori tassati alla fonte che non ne può più di dover pagare per tutti. Sono questi i termini del problema? Se sì, chiunque ami l’Italia dovrebbe proporre cosa fare, invece di amplificare i sorrisetti di Barroso e Van Rompuy o ribadire che le “coperture” di Renzi restano fantasiose.
Invece temo che sia cominciato un altro gioco. Calati junco ca passa a china, dicono a Palermo. Tutti a dire sì ma. Aspettando che Matteo Renzi fallisca, come prima di lui Letta e Bersani e Monti e, naturalmente, Berlusconi. È questo il più classico comportamento da “casta” e ha dietro l’idea che politici di professione, grandi manager privati e pubblici, intellettuali di grido, direttori di giornali siano destinati a resistere a ogni scossa: i premier cambiano, noi restiamo. E domani invece che con Renzi faremo i conti con Grillo o con un clone di Berlusconi. Che vuoi che sia!
Ieri ho discusso, nel gruppo del Pd al Senato, della riforma, appunto, del Senato. Renzi vuole di fatto abolirlo, sostituendolo con “un’assemblea delle autonomie”, composta da delegati dei sindaci e dei consiglieri regionali oltre che da un certo numero di personalità nominate del Presidente della Repubblica. Senza quasi poteri legislativi, se non quando si tratti di leggi costituzionali, e con il compito di “coordinare” le autonomie. Una camera, per lui, è più che sufficiente. Un Senato non eletto, inoltre, dimostrerebbe che si comincia a tagliare dalla “Casta” della “politica”. Venerdì scorso Maurizio Crozza ha massacrato Renzi ma sull’abolizione del Senato gli ha dato ragione. Formigoni, Razzi, Scilipoti? Via dai nostri occhi.
Ora, vedete, si fa presto a dire una Camera basta. Ma se per ottenere, in questa Camera, la maggioranza assoluta basta che un demagogo, magari danaroso, costruisca una coalizione del 37%, e se questo capo della coalizione dispone di strumenti coercitivi importanti (norme che escludono dalla rappresentanza chi ottenga meno dell’8 per cento dei voti da solo e meno del 4,5 in coalizione) e se, ancora, può nominare, uno per uno, i deputati, grazie alle liste bloccate, può darsi il caso che con un venti per cento appena dei consensi elettorali questo demagogo diventi il dominus dell’intero sistema democratico e costituzionale.
Io scrivo queste cose, ma le pensano in tanti. Solo che fingeranno di stare al gioco, calati junco ca passa a china per non apparire quelli che difendono la Casta. Magari sul nome, “Senato” e non “assemblea delle autonomie”, punteranno sulle competenze (il senato si occupi di questo e anche di quest’altro), si divideranno tra chi, Forza Italia, vorrebbe prima approvare la legge elettorale e chi, Nuovo Centro Destra, metterà bastoni alla riforma del Senato per ottenere garanzie sulle soglie di sbarramento. Intanto messaggeri oscuri cercheranno, in qualche stanza segreta, di far ragionare Renzi e il suo cerchio magico. E alla fine falliremo tutti. Tanto, che cambia?
La mia posizione è diversa. a) Una certa semplificazione del nostro sistema istituzionale è compatibile con il fatto che molti poteri siano ormai stati delegati o alle istituzioni europee o alle autonomie regionali e locali, b) Perciò condivido che solo una Camera voti la fiducia al governo, solo una si occupi delle leggi ordinarie e dei provvedimenti politico amministrativi, c) Credo però che serva un bicameralismo di garanzia, un Senato con poteri paritari in materia costituzionale ed elettorale, che ratifichi trattati internazionali ed europei e faccia da cuscinetto tra Stato centrale e autonomie locali, d) Un tale senato non può essere un dopo lavoro per consiglieri regionali e sindaci, basta eleggere un centinaio di senatori, magari in collegi uninominali molto ampi e a turno unico, in modo che siano il più slegati possibile dai vincoli di maggioranza, e) E, per garantire a Renzi la riduzione dei costi, basta ridurre nella stessa misura il numero dei deputati.
È una posizione, certo, diversa da quella del premier ma non cerca di mettergli bastoni fra le ruote.
Da corradinomineo.it