E’ tornata il aula, alla Camera dei deputati, dopo oltre un mese di rinvii, la legge elettorale. E pensare che il percorso era cominciato all’insegna di una velocità ed un dinamismo di futurista memoria, tanto che i due giorni di discussione in Commissione affari costituzionali erano stati bollati come “lungaggini”. Il testo presentato alla Camera – definito Italicum per il suo progressivo allontanarsi dai modelli stranieri inizialmente richiamati – ha suscitato molte perplessità anche alla luce della sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale. Il premio – che la Corte ammette solo se ragionevole – sembra infatti di dubbia ragionevolezza, le soglie (almeno per le liste non coalizzate) pure, le liste bloccate – che il giudice costituzionale ritiene tollerabili solo se brevi – non sono poi molto brevi e la riconoscibilità dei candidati (che pure la Consulta ritiene necessaria) risulta messa a serio rischio dagli emendamenti sulla possibilità di candidature plurime.
Nonostante le perplessità di fondo, la speranza era che, nel corso della discussione parlamentare, anche grazie al gran numero di emendamenti presentati, il testo potesse migliorare. Non sembra che si vada in questa direzione. L’emendamento di cui infatti più si discute – e che sembra avere ottime chances di essere approvato – è quello per cui la riforma elettorale varrebbe solo per la Camera dei deputati e non per il Senato.
Chiaramente l’unico obiettivo è quello di evitare elezioni a breve, cercando di rinviarle a dopo la riforma della “Camera alta”, che pure ancora non è stata nemmeno formalizzata in una proposta di revisione costituzionale (le ipotesi circolate risultando peraltro piuttosto bizzarre anche avuto riguardo ai modelli presenti in altri ordinamenti). Siamo, in sostanza, tornati ad uno schema simile a quello di aprile, con la differenza che allora la riforma elettorale non si voleva approvare prima delle riforme costituzionali, mentre ora la si vuol approvare in fretta per renderla però sostanzialmente inutile prima delle riforme costituzionali. Dovrebbe magari riflettersi sul fatto che il solo avvio delle riforme è già fallito due volte solo in questa legislatura ed è andato (quasi sempre) a vuoto nei precedenti trent’anni.
Se davvero il Parlamento approverà una riforma elettorale valida solo per la Camera, intanto, per l’elezione del Senato varrà la legge elettorale risultante dalla dichiarazione d’incostituzionalità del Porcellum, cioè un sistema proporzionale con soglie di sbarramento (regionali) e voto di preferenza. In caso di elezioni anticipate (non inverosimili in presenza di una maggioranza composta da quasi dieci partiti politicamente piuttosto eterogenei), quindi, andremmo a votare con due leggi elettorali completamente diverse per le due Camere, che avrebbero così una composizione differente, pur dovendo (ancora) esprimere entrambe la fiducia al Governo.
Non si capisce, insomma, a cosa serva approvare per una sola Camera l’Italicum, visto che – rimanendo per l’altro ramo del Parlamento la vigente legge elettorale – non raggiungerebbe comunque il suo scopo, almeno fino alla riforma del Senato, appunto, che non sappiamo se, quando e soprattutto come, verrà. Difficile capire come siamo potuti arrivare a tanto, quando solo poche settimane fa in Parlamento esisteva una maggioranza – composta da PD, SEL, Scelta civica (ancora intera), 5 stelle, Lega e Autonomie – disponibile a tornare alla legge Mattarella, come risulta dalle proposte presentate e dalle dichiarazioni rilasciate dai diversi leaders.
* professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Pisa (Giurisprudenza)