Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe….Montale
Nella società di oggi la grande distribuzione opera su clichè la cui forma originale ha richiesto via via tratti esteriori semplificati per facilitarne la replica a livello industriale e rendere il prodotto adattabile al maggior numero di utenti/menti possibili. Il prodotto ‘tecnico’ o artistico cosi come i messaggi politici, fondano la loro potenza iconica sulla semplicità. Qualunque crisi del tratto estetico /etico crea un inciampo nella riproduzione immediata. Richiede un tempo maggiore di comprensione. Bombardati cosi da oggetti semplici, piccoli pensieri facili, piccoli giudizi facili, piccoli slogan facili, piccoli intrattenimenti facili subiamo stremati l’elementare pantomima e stancamente indossiamo le maschere del quotidiano, ci ripariamo nei luoghi comuni, gli atteggiamenti tutti uguali che non raccontano l’essere umano ma che semplificano le relazioni senza sfiorane mai la profondità, la verità di nessuno di noi.
E nelle persone cresce la solitudine , la mancanza di rappresentanza , di racconto .
Che cos’è questo racconto,/ispirato ad un essere e animato dal nostro umano sentire ? ( Heder)
Scrive Taleb nel bellissimo Il Cigno nero “.. Non è più necessario che l’artista sia presente ad ogni rappresentazione. La tecnica della riproduzione ha scalzato l’unicità della sua performance.” Ecco il trionfo della riproducibilità. Il costo uno -uno non può competere con il ricavo uno-un milione di copie e , se non combattiamo sarà la fine dell’esperienza che è nel rito teatrale e in qualunque altro evento non riproducibile , non comprimibile , non masterizzabile , non manipolabile quindi. L’esperienza teatrale che è tutto, danza , musica, teatro civile, classici, poesia fonda la sua energia rivoluzionaria proprio nel suo farsi che sfugge alla staticità.
Un parlare fantastico per sostanze animate (Vico)
Quante volte in presenza di un opera d’arte letteraria o pittorica o performativa (cinema / teatro ) ci è capitato di percepirne “vita propria” In quale lingua mi sta parlando quell’opera e a chi parla? Non alla mia intelligenza. Si riconosce solo ciò che si conosce e quell’opera è inaspettata, il suo linguaggio si propaga nel silenzio a un’altra me. E’ quello che Platone chiama l’antico nostro essere e si manifesta nella visione delle cose, nella percezione delle ombre delle cose. La sua visione è in trasparenza, non ha occhi per una realtà bidimensionale materica vive di percezione, di intuizione. Dargli attenzione e ascolto ci guida nella creazione di un archivio immaginario interiore che non vale in sé , non vale per la catalogazione o l’inventario o la quantità delle cose che vi sono collocate ma per la dinamica con le quali sono riuscite a prendere posto in quella stanza immaginaria e quanto hanno smosso di te collocandosi.
La valle del fare Anima ( Keats)
Ecco l’esperienza del Teatro! La sala buia, la vicinanza silenziosa con altri esseri umani, la presenza e allo stesso tempo l’assenza , sei qui e sei in un altro mondo intento a un dialogo solitario con una rappresentazione che è unica e non replicabile .E’ questo lavoro cosi intimo e personale eppure svolto in collettività, quasi un processo alchemico che trae nel tempo della lavorazione il suo fine, quel luogo che Keats chiama ” la valle del fare Anima” a diventare strumento, metodo per interpretare le ombre del mondo smettendo di subirne l’impatto visivo..
E’ nella favola che il linguaggio affonda le proprie radici iniziando a dispiegarsi attraverso metafore e figure le quali in quanto assolvono una funzione spiccatamente comunicativa acquistano una palese realtà(Vico- La potenza del Falso -Mazzarella .-)
Misi in scena Giovanna D’Arco costruendo una drammaturgia fatta di tre voci racconto visivo , musicale ,corporeo e procedendo per suggestioni invece che per descrizioni. Il momento ,l’unico momento in cui Giovanna d’Arco si indebolisce è il momento in cui le viene fatto vedere il rogo dove morirà. La paura le toglie la forza interiore su cui poggia tutta la sua missione. Dio è in me ed è sua la voce che ascolto . Quella notte alla ennesima domanda “ma se fosse il demonio a parlarti ?” ho immaginato che la sua debolezza le abbia insinuato il dubbio. Sul fondale nero appariva dal nulla, e per un istante soltanto, Don Chischiotte di Du Maurier che è al Louvre, un disegno dalle linee essenziali, a carboncino . Quasi Giacometti. Quell’immagine appena suggerita e subito svanita creava nello spettatore un lavorìo , personale e denso: l’interpretazione di uno stato d’animo seppur di un personaggio illusorio:quella voce era verità o illusione?
Questo era il tema e questo è un grande tema generato da un personaggio illusorio .
La menzogna scende a patti con il vero / lo spirito dà forma al mito (Valery)
La fotografia della realtà, la doxa, l’istituto dei sondaggi non raccontano lo spessore della realtà, “l’ombra” della realtà, ma danno l’illusione di sapere e la replica dei fatti sui mezzi di comunicazione senza il tempo della riflessione che ne consenta l’esperienza personale emoziona sempre meno, graffia sempre meno , tocca sempre meno ma dà l’illusione di sapere tutto senza mai realmente rimanerne coinvolti feriti o segnati e sdegnati . E cresce l’indifferenza a tutto .
Vidi Vittorio Foa in una delle sue ultime interviste televisive: raccontava quanta pena provava ogni volta che riandava con la mente ai campi di sterminio, memorie fissate attraverso le immagini dei primi soldati russi. Quel filo spinato che ancora separava fantasmi di esseri umani dal mondo reale e spietato. Poi ad un tratto durante la trasmissione vidi il suo viso assumere una strana aria smarrita, tacque come per cercare di capire e disse :” ho visto poi una di quelle immagini usate sui cartelloni pubblicitari e replicata all’infinito….era la stessa immagine, la stessa immagine ma ne aveva perso il senso, il dolore.” E raccontò che l’indifferenza dei passanti nei giorni di quelle esposizioni lo smarriva.
Erano immagini di morte diventate sfondo, arredamento urbano .
Non è la riproduzione a creare conoscenza è l’interpretazione di un fatto a restituirgli spessore, profondità e sentimento
Nel nostro tempo si riflettono le cose al posto di riflettere sulle cose
Le parole stesse replicate all’infinito perdono peso, perdono il loro reale significato, diventando così facilmente manipolabili. La quantità si impone, la semplicità diventa una scorciatoia, lo choc un modo per impressionare i sensi e catturare le coscienze che pigre e aggredite subiscono l’impatto.
La vista e l’udito sono sensi semplici facilmente manipolabili, assoggettabili.
Il teatro è un luogo dove il tempo ha un altro tempo.
Scrive Elio Franzini “Fermando il tempo, riconquistando il valore del tempo possiamo sfuggire ai dettami del collettivo che impongono di essere qualcosa senza pensare o senza badare all’Essere.”
Voglio il tempo per interrogare, curiosare, argomentare, mettendomi al riparo da consensi spicci. Non voglio farmi catturare .Voglio tenere ben oliati gli strumenti per elaborare un pensiero individuale e potermi fidare della mia propria capacità di percezione , del mio sentire.
Voglio pensare .Il teatro è la mia palestra.
“Un giorno molto prima di iniziare la stesura della Recherche Proust scoprì di essere’ un luogo’.
Mentre errava per la campagna scoprì un vasto antro nascosto al resto della valle dove nessuno era mai disceso che l’assoluto silenzio aveva mantenuto nella solitudine. Lui era quel luogo;. una creatura diversa da tutte e altre senza rapporti con nessuno senza affinità con nessuno. Comprese che doveva scendere in quell’antro tenebroso se voleva scrivere un libro. Vi scese e scopri che quell’antro isolato era il centro della terra e aveva un rapporto con tutti gli altri punti del mondo.
Piano piano le cose che maturavano in quel luogo lui le avrebbe portate alla luce….”( Piero Citati)
E’ solo prendendo conoscenza di quello che c’è nel nostro al di là interiore, che la nostra vita diventa ricca, autentica piena di significato
Ah l’uomo che se ne va sicuro,/agli altri ed a se stesso amico,/e l’ombra sua non cura che la canicola/stampa sopra uno scalcinato muro (Montale)
E’ quell’ombra sullo scalcinato muro che dobbiamo tenere congiunta, seppur con un piccolo lembo strappato, al corpo a cui appartiene per preservarne profondità e spessore.
E mobilità che è proprio del corpo immateriale, l’estrema mobilità del cuore e della ragione che si devono all’unicità e sperimentalità della riflessione in ogni atto teatrale :metamorfosi stessa dello spettatore e dell’attore nel tempo della rappresentazione.
“L’uomo è sempre in movimento ,in un mutamento continuo (..) l’essere umano si trova sempre in una posizione precaria. Il teatro è l’arte della cosa che non resta, della cosa che si muove-Ecco perchè è cosi grande , perchè è il simbolo dell’umano. Il teatro è il racconto di un uomo che diventa racconto di tutta l’umanità” (Giorgio Strehler)
Scrive Brecht” Un tale incontra K. e gli fa: Sono vent’anni che non ti vedo, lo sai che non sei cambiato per nulla?” Commenta poi Brecht che il signor K. andò a casa e si mise a fissarsi allo specchio terrorizzato pallido, pensando all’orrore di non essere cambiato per nulla. Di essere rimasto sempre lo stesso…
Arte è un divenire senza margini e traguardi, rispecchia il divenire di ogni essere umano…
Il Teatro ne coglie l’attimo.