Approvato lo scorso 17 ottobre dalla Camera dei deputati, il progetto di riforma della legge sulla diffamazione è fermo da mesi in Commissione giustizia del Senato. Perso tra le nebbie del bicameralismo. Affidato ai relatori Giacomo Caliendo (Forza Italia) e Rosanna Filippin (Pd), il ddl è stato discusso in Commissione e il 16 gennaio è scaduto il termine per la presentazione degli emendamenti. Da allora l’esame del testo non è più ripreso perché si attendono i pareri obbligatori delle Commissioni affari costituzioni, bilancio e lavori pubblici. Quello che tarda ad arrivare e ha bloccato tutto l’iter, è il parere della Commissione bilancio di Palazzo Madama, presieduta da Antonio Azzollini (Ncd).
Impegnata ad esaminare e fornire pareri sui numerosi provvedimenti economici all’esame dell’aula, concentrata sulle audizioni al commissario Carlo Cottarelli per la spending review, la Commissione presieduta da Azzollini non trova da settimane quei pochi minuti di tempo necessari per licenziare il parere dovuto sulle eventuali coperture finanziarie al ddl sulla diffamazione. È scontato che il parere sarà positivo, poiché la riforma della diffamazione non prevede la necessità di impegni di bilancio da parte dello Stato, ma tanto basta per bloccare tutto. Un modo ci sarebbe per rimettere in moto l’iter: calendarizzare la discussione del testo in aula, anche perché c’è già un sostanziale accordo tra maggioranza e opposizione. In questo modo la Commissione bilancio sarebbe costretta a emettere subito il proprio parere senza rinviare alle calende greche. Ma per calendarizzare il testo in aula “serve la decisione della conferenza dei capigruppo”, spiega il presidente della Commissione giustizia, Nitto Palma (Fi) e così se ne lava sostanzialmente le mani.
Poco importa che nel convegno su “Diffamazione e libertà di stampa” organizzato in Senato lo scorso 6 febbraio, con la partecipazione di Articolo 21, il presidente Pietro Grasso si fosse impegnato a un rapido esame della legge per arrivare il più presto possibile all’approvazione, come ci chiedono da tempo la Corte europea dei diritti dell’uomo e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Basta un ostacolo regolamentare per fermare tutto. Così la discussione che si è sviluppata in questi mesi sui temi qualificanti della riforma (abolizione del carcere per i giornalisti, pubblicazione della rettifica come condizione di non punibilità, sanzione delle querele temerarie, tetto alle richieste di risarcimento) sembra finita nel dimenticatoio. Il disegno di legge va senza dubbio migliorato in alcuni capitoli, in particolare rettifica, querele temerarie e limiti ai risarcimenti, ma c’è una significativa convergenza tra le diverse forze politiche e una buona disponibilità a trovare un punto di equilibrio.
Il tema non è solo quello dell’abolizione del carcere per i giornalisti ma di evitare che lo strumento della querela per diffamazione, con le relative richieste di risarcimento danni, sia utilizzato per intimidire o azzittire giornali, tv e siti internet. Sono almeno tre legislature che si discute su questo argomento, con alterne vicende. Ora sembrava di essere giunti vicini al traguardo ma nelle more dei regolamenti parlamentari si è smarrito di nuovo il filo. Il rischio è di perdere definitivamente anche questa occasione perché, giova ricordarlo, se la riforma costituzionale del Senato andrà in porto, tutti i disegni di legge all’esame di Palazzo Madama torneranno in alto mare.