Stasera, per la prima volta nella storia dell’ultimo trentennio, la Commissione parlamentare dell’Antimafia ascolterà, in seduta ufficiale, a Palermo, alcune delle associazioni antimafie più rappresentative, tra cui il Centro Studi Pio La Torre. Le associazioni si presenteranno all’audizione con un documento congiunto per ribadire alcuni punti essenziali sui quali il movimento antimafia siciliano e nazionale concorda.
Il primo riguarda l’importante ruolo che deve svolgere la Commissione la quale dovrà approfondire ed esplorare il volto delle mafie contemporanee come fecero quelle degli anni sessanta e settanta presiedute da Pafundi, Cattanei. Carraro le cui relazioni descrissero e documentarono gli adeguamenti della mafia del feudo al moderno sistema capitalistico del dopoguerra. In particolare, dalla pregnante relazione di minoranza del 1976 firmata da Pio La Torre e Cesare Terranova fu scolpita per sempre la vera natura della mafia quale strumento di accumulazione violenta di ricchezza e di potere, e fenomeno risalente alle classi dirigenti. Da questa relazione nacque la proposta che diventerà la prima legge antimafia, dal Regno d’Italia alla Repubblica, che consentì, e consente, di colpire le associazioni di stampo mafioso e di confiscarne i beni.
Nel momento in cui riemergono, pur dopo repressioni sempre più efficienti, nuove reti transnazionali criminose, finanziarizzazione e diffusione delle varie mafie, è necessario affinare tecniche e strumenti giuridici. Non è più rinviabile l’introduzione di nuove norme penali nazionali e internazionali per colpire l’autoriciclaggio, i paradisi fiscali, la corruzione e la connessione sempre più evidente tra mafie, affari e politica. Il semestre europeo presieduto dall’Italia sarà un’occasione da non perdere. Ormai la percezione europea del fenomeno mafioso è fissata in documenti d’indirizzo del Parlamento Europeo e della sua Commissione che hanno dettato l’esigenza di armonizzare le legislazioni penali nazionali di contrasto alle mafie, alla corruzione e di confisca dei beni alle criminalità organizzate.
Il Governo italiano avrà la grande responsabilità di far pesare la sua più lunga esperienza di legislazione antimafia sollecitando le emanazioni di precise direttive comunitarie, la creazione di coordinamenti sovranazionali della giustizia, l’adozione di misure di prevenzione nel sistema finanziario, educativo e sociale.
L’attuale Governo, tra l’altro, ha il compito di cancellare, anche dopo le positive dichiarazioni del neo-ministro della Giustizia e del premier, in risposta alla lettera di Saviano, la prima impressione di non considerare prioritarie, per la democrazia e la crescita del Paese, le politiche antimafie. Le commissioni Garofoli e Fiandiaca hanno delineato un quadro di interventi correttivi e migliorativi della legislazione antimafia soprattutto in tema di gestione dei beni confiscati e di procedura penale.
Colpire le mafie oggi significa soprattutto liberare la politica, il mercato e la democrazia e recuperare risorse da destinare alla ri-crescita del Paese. Prendiamo atto, dunque, degli impegni che Renzi ha assunto pubblicamente e lo attenderemo fiduciosi sui fatti. Le associazioni chiederanno che la legge elettorale in discussione al Parlamento consenta di scegliere gli eligendi; di sospendere la candidabilità di coloro che sono stati rinviati a giudizio per reati di mafia, di corruzione e contro la pubblica amministrazione; di regolamentare rigidamente il conflitto d’interesse.
Tali proposte sono sentite dall’opinione pubblica, assieme alle misure anticrisi e antimafia, urgenti, non più procrastinabili, per ritrovare un po’ di fiducia nella politica. Non c’è manifestazione pubblica nella quale non si concluda con questo auspicio come l’ultima del 26 us del comprensorio di Altavilla-Bagheria- Casteldaccia-Villabate promossa dal Centro La Torre, alla presenza delle autorità di stato, con l’adesione delle scuole e delle popolazioni della zona, delle amministrazioni comunali e provinciale, per festeggiare l’intitolazione della “strada dei Valloni”, via di fuga storica dei killer di mafia, alla prima Marcia popolare Antimafia della zona del 26 febbraio 1983. L’iniziativa è servita per ribadire che i capitali e i beni confiscati alla mafia della zona siano reinvestiti in quel territorio per sottrarlo al degrado e all’abbandono dopo la crisi agrumicola e edilizia che ha profondamente sconvolto un tessuto prima ricco e oggi impoverito. È un segnale di disagio sociale unito ancora a una voglia di cambiamento che i governi, regionale e nazionale, devono raccogliere con politiche adeguate alla rinascita del Mezzogiorno.
Antimafia e Mezzogiorno, due parole che indicano strategie nazionali ed europee di sviluppo che vorremmo ascoltare dal nuovo Presidente del Consiglio. Non ci preoccupa la scarsa presenza di dirigenti meridionali o siciliani nella compagine di governo, ma l’eventuale sottovalutazione che dalla crisi si possa uscire senza sconfiggere anche le mafie, problema di tutte le regioni e trascinarsi dietro tutto il Sud. Senza questa consapevolezza cresceranno sfiducia e rabbia sociale, con il buon gioco della mafia.