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Il caso Gentile è la punta sfacciata di un iceberg

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La prima cosa da dire è che, banalmente, non può stare al governo di un Paese chi ha cercato di impedire l’uscita di un giornale. Quali che siano i fatti, quali che siano le ragioni. Per questo Matteo Renzi farebbe bene  a revocare la nomina a sottosegretario a Tonino Gentile, esponente del Nuovo centrodestra calabrese. Il caso che ha riguardato il senatore Gentile, il presidente di Fincalabria De Rose e il quotidiano l’Ora della Calabria è solo la punta sfacciata di un iceberg.
Non è stata la prima volta, non sarà probabilmente l’ultima. L’editoria calabrese, specchio della classe dirigente diffusa, si segnala – con le dovute ma non scontate eccezioni – per l’opacità degli assetti proprietari, per i conflitti d’interessi, per la dipendenza dal potere politico o dai potentati economici. Il rapporto perverso tra editoria e potere politico ed economico determina allora una battaglia quotidiana perché alcune notizie siano pubblicate, perché altre non vengano censurate. Una storia calabrese certo, ma che può riguardare tante realtà locali in tutto il Paese.
Ma c’è di più. La vischiosità dei rapporti trasversali tra proprietà dei giornali e potentati calabresi ha infatti come conseguenza anche la solitudine di troppi giornalisti costretti a lavorare per pochi euro a pezzo, la fragilità economica delle aziende incapaci di emanciparsi dalla politica, l’assenza di un racconto reale del territorio che oltrepassi il Pollino, la difficoltà per l’opinione pubblica e i media nazionali di distinguere le guerre per bande dalle battaglie per la libertà, la scelta delle grandi testate nazionali di non investire in quella regione, la presenza sulla scena di politici arroganti che sfoggiano atteggiamenti proprietari nei confronti dei giornalisti. Uno scenario che riguarda l’editoria, che può essere usato per raccontare un territorio in cui la ‘ndrangheta è forte, in cui le cittadine e i cittadini – per restare a queste ore – sono costretti a girare per le strade delle loro città scansando bombe dal significato particolarmente torvo e tonnellate di spazzatura.
Nominando Tonino Gentile a sottosegretario del suo governo a poche ore dai fatti dell’Ora della Calabria, Matteo Renzi non fa soltanto un grave errore politico (per comprenderlo basterebbe scorrere il curriculum del politico cosentino, celebre per avere proposto di assegnare a Silvio Berlusconi il Nobel per la Pace), né si rende semplicemente protagonista di un affondo gravissimo nei confronti di chi crede nella libertà dell’informazione nel nostro Paese e di chi ostinatamente lavora con passione e rigore per praticarla. No, Matteo Renzi commette anche l’errore peggiore che riguarda la Calabria, che parla all’Italia intera: colpisce alle fondamenta il difficilissimo percorso di ricostruzione della libertà e dell’identità che tanti calabresi – giornalisti e non – stanno conducendo. Dal governo che dichiarava di voler cambiare verso all’Italia, dal più giovane presidente del consiglio della storia d’Italia, dall’ideatore della rottamazione ci si aspettava davvero qualcosa di più. E questo a prescindere dal segno politico del suo governo.

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