Il principale vizio che inficia il d.d.l. n. 1385 AS, quale sta emergendo nel dibattito in corso, è di disciplinare esclusivamente le elezioni della Camera e non quelle del Senato. Il che è illogico per varie ragioni: a) perché non è serio ritenere il Senato defunto anzitempo (proprio nel momento nel quale esso è chiamato a dimostrare la sua vitalità rimediando agli errori della Camera, e quindi la persistente utilità del bicameralismo ancorché non paritario); b) perché nella sentenza n. 1 del 2014 la Corte costituzionale ha chiaramente sottolineato che alla prossima consultazione elettorale sarà applicata o la normativa di risulta oppure la nuova normativa, il che esclude l’applicabilità contestuale di due sistemi elettorali tra loro non coordinati con conseguente irrazionalità sistemica; c) perché approvare la disciplina elettorale della sola Camera e rinviare ad un futuro lontano quella del Senato si risolverebbe nella menomazione delle attribuzioni costituzionali del Presidente della Repubblica il quale non potrebbe, per quanto detto (irrazionalità sistemica), disporre fino ad allora lo scioglimento delle Camere.
Il secondo vizio del d.d.l. è lo stesso del Porcellum, e cioè di perseguire l’obiettivo della stabilità di governo e dell’efficienza decisionale a costo di un abnorme compressione della rappresentatività del sistema. La Corte costituzionale ha bensì ritenuto legittimo il premio di maggioranza ma a patto che la sua previsione sia «proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito». La Consulta non ha quindi lasciato intendere che sarebbe sufficiente una soglia qualsiasi. Ne segue che il punto di riferimento, per poter valutare la congruità del “premio di maggioranza”, non può che essere il 50,1 per cento, con conseguente insufficienza della soglia attuale del 37 per cento. Il vero è che il d.d.l. n. 1385 AS pretende di assicurare la governabilità con espedienti tecnici (quanto al premio di maggioranza e alle soglie di sbarramento) e non sulla base dei voti ottenuti, come invece avverrebbe col sistema uninominale a doppio turno oppure col sistema proporzionale (ma con una soglia di sbarramento del 5 per cento).
E tutto ciò è ancor più stridente se, come appunto accade col d.d.l. in esame, la stessa identica soglia per l’ottenimento del premio di maggioranza è prevista nel ballottaggio tra le due liste o coalizioni più votate.
Altri vizi, non meno gravi, vanno poi individuati: nella pluralità delle soglie d’accesso (il 4,5 per i partiti coalizzati, l’8 per le liste non collegate e il 12 per le coalizioni) che dà luogo a conseguenze paradossali già da molti giustamente sottoposte a critiche, alle quali mi permetterei di aggiungere il dubbio di fondo sulla stessa utilità “istituzionale” delle coalizioni (se non quella di raggiungere il quorum); nella vergognosa possibilità di un candidato di «essere incluso con il medesimo contrassegno fino ad un massimo di otto collegi plurinominali» che è un vero e proprio specchietto per le allodole; nel silenzio sulle elezioni nelle circoscrizioni-estero nelle quali la segretezza del voto non è minimamente garantita, come è stato inequivocabilmente accertato dalla magistratura. Infine nei criteri seguiti per la trasformazione dei voti in seggi, che, avvenendo su scala nazionale, fanno sì che i voti espressi in favore della lista di Tizio e Caio in una data circoscrizione serviranno per la lista di Nevio e Sempronio in una circoscrizione diversa.