Leggendo i non pochi articoli che escono in queste settimane su quotidiani e settimanali della penisola sulla riforma del Senato si hanno due osservazioni che vale la pena cercar di proporre ai nostri lettori
La prima è che si tratta di un’impresa titanica, se si tiene conto che in Gran Bretagna la riforma analoga della House of Lords è stata tentata da quindici anni a questa parte con un sostanziale fallimento. La seconda è che il progetto (di riforma del Senato) del governo prevede l’assenza di elezione di nuovi senatori, una composizione fatta dai presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano più un pò di sindaci e consiglieri regionali scelti non si sa come. C’è poi il contrasto sugli ex presidenti della repubblica che, nel progetto originale, diventerebbero deputati a vita e che, secondo altri, dovrebbero diventare invece senatori. Inoltre, il fatto che la riforma preveda la nomina di 21 senatori da parte del Capo dello Stato sembra a dir poco sproporzionato. Ho letto con particolare interesse ( e sostanziale accordo) l’articolo che sul problema ha scritto il collega Gaetano Azzariti e che l’associazione Libertà e Giustizia ha fatto proprio.
Il costituzionalista ha messo in luce alcuni elementi che mi sembra importante richiamare in questa sede:1) se la nuova Assemblea (che si chiamerà, a quanto pare, Camera delle Autonomie e delle Competenze in modo da bilanciare il forte territorialismo della gran parte dei senatori provenienti da regioni e province), esclusa dal circuito della fiducia al governo, si limiterà ad esprimere pareri sulle leggi già approvate, (perchè bicamerali resterebbero soltanto le leggi costituzionali) conterà assai poco giacchè i suoi pareri potranno essere facilmente superati dalla Camera essendo richiesta al massimo la maggioranza assoluta, vale a dire un quorum facilmente raggiungibile, con l’Italicum potrebbe far da sola anche la lista che ha ottenuto il premio di maggioranza previsto, del 15 per cento, con il 37 per cento dei voti espressi.
Ora, in una situazione reale nella quale già da molti anni, se non decenni, il parlamento esercita, accanto alla funzione legislativa (peraltro per ragioni che si diranno, in forte crisi), funzioni di controllo, di garanzia, d’inchiesta con le istanze europee e con quelle regionali e locali. In questo senso si potrebbero attribuire alla seconda Camera, esclusa dal rapporto con il governo, poteri analoghi o dello stesso genere in modo da farne un organismo utile e non ripetitivo rispetto alle leggi e, per giunta, inefficace per il maggior potere della prima Camera come si è appena detto. Resta il fatto, sottolineato a ragione anche da Azzariti, che c’è, a livello parlamentare, un progressivo deterioramento della capacità di un effettivo esercizio delle proprie funzioni, per il degrado istituzionale complessivo che dobbiamo constatare da tempo.
Di fatto è il governo, e non il parlamento, che prepara e presenta la legislazione di principio e quella politicamente di maggior rilievo, mentre alla Camera resta essenzialmente la microlegislazione. In una situazione come quella che si è delineata, l’elezione diretta non ha molto senso ma il rischio vero è che si vada con un Senato che è soltanto un doppione della già esistente “Conferenza Stato regioni autonomie locali ” dai poteri meramente consultivi. E allora viene da chiedersi se farlo così abbia un effettivo senso e una funzionalità chiara nel nuovo edificio costituzionale. Personalmente – come altri osservatori italiani e stranieri e studiosi del diritto costituzionale – chi scrive ne è sempre meno convinto.