Lucia Annunziata – Huffington post
Sappiamo ormai che né Matteo Renzi né Enrico Letta temono i moniti della Storia – il primo non si fa intimorire da precedenti sfortunati, il secondo ama le regole però le considera secondarie alle Istituzioni – ma forse entrambi dovrebbero in queste ore riflettere almeno sui moniti del ridicolo.
Ridicolo è l’unico termine proprio per definire il clima di questo passaggio politico, sbracato nei modi, nello stile e nella sostanza. Una staffetta di governo, cioè un cambio al vertice del paese viene giocato fra due individui, che ne discutono faccia a faccia come se il loro posto fosse una questione personale, che ne discutono in sedi istituzionali come Palazzo Chigi ( uno ci va con la smart , segno di giovanilismo e semplicità da cui dovremmo farci affascinare come accade al presente (e futuro) ministro Franceschini che la fotografa?) per decidere tra loro come, quando , e se, passarsi di mano un potere per cui nessuno dei due è stato votato.
Sullo sfondo la suprema assise di questa contesa fra i due, c’è la direzione di un partito, il Pd. Un solo partito che decide come e quale premier darsi? Abbiamo capito bene? Un partito, che esso stesso, ricordiamo bene, ha a malapena vinto le elezioni, come ammesso dai propri dirigenti. Un clima da ragazzi del muretto. Altro che Blair e Brown – si facciano sotto coloro che vogliono spiegarci le somiglianze tra i casi, e si ricordino del conto dei voti del Labour: Blair aveva vinto tre mandati mentre i voti su cui si regge il Pd attuale sarebbero invisibili senza premio di maggioranza.
Nel frattempo circolano già liste di ministri – c’è bisogno di sottolineare quanto poco istituzionale questo sia? Anche se devo dire che se son quelle che si anticipano ( ma non ci posso credere) non si capisce nemmeno perché si dovrebbe cambiare governo.
Tutti gli altri, i partiti, di centro destra e sinistra, si stanno rendendo ridicoli a loro volta – ma loro almeno consapevolmente (speriamo) – ognuno attento ai propri interessi: partitini che si spaccano con un occhio ai ministeri e al sottogoverno, altri che gestiscono in silenzio l’ennesimo tradimento , da Letta a Renzi, ma anche da un posto all’altro nella scacchiera governativa.
Il Presidente Napolitano da parte sua aggiunge a questo percorso, insieme privatistico e confuso, il paletto di un nonchalant “parlare di elezioni è una sciocchezza”.
Il ridicolo ( parola molto offensiva in politica, lo so – la politica ama il dramma ma non il melodramma) che segnalo è il frutto dell’abbandono di un percorso istituzionale a favore di un fai da te di consultazioni pubbliche, improvvisate , sparate in Tv e conferenze stampa. Segno della eccessiva personalizzazione del sistema.
Frutto a sua volta dal distacco totale da qualunque mandato elettorale. Non c’è bisogno di essere costituzionalisti per dire che è arrivato il momento di dichiarare che siamo di fronte a una crisi del governo, che c’è un presidente del consiglio sfiduciato sia pur non in aula ma via media e streaming del suo partito ed altri, e che è in corso una sorta di auto-mandato esplorativo .
È necessario, obbligatorio direi, dunque che questa successione torni nell’unico luogo autorizzato a gestirla: il Parlamento. Che la crisi venga ufficializzata e affrontata con mozioni, discussione pubblica, e voto. Ritornando poi sul tavolo di Napolitano per consultazioni ufficiali ed eventuale nuovo incarico.
Il solito gioco di inversione dei ruoli che serve sempre a svegliare i democratici in questo caso funziona particolarmente bene: che avrebbe detto il Pd e tutta la opinione democratica se fosse Berlusconi a gestire in questo modo un passaggio a Palazzo Chigi?
La successione di Renzi a Letta, se accadrà, è davvero un passaggio serio della repubblica. Qualunque sia la ragione per appoggiarla, o volerla, alla fine di questo percorso ci ritroveremo con il terzo premier non votato dal 2011. Il che significa che siamo meravigliosamente sulla strada della evoluzione dell’Italia , unica nazione europea, in una Repubblica Oligarchica. Altro che riforme per guarire la crisi di rappresentanza .
Il modo trascurato con cui si trattano oggi luoghi e modi delle istituzioni, è il primo segno di questa evoluzione. Le oligarchie infatti non hanno bisogno di buone maniere – tanto non devono rendere conto a nessuno. Ma forse è giusto in queste ultime ore ricordare ai due contendenti che questa evoluzione non è una strada obbligata. Enrico Letta ha sempre detto di mettere avanti a tutto , anche a personale destino, le istituzioni. Matteo Renzi si è presentato addirittura alla ribalta come l’antioligarca per eccellenza.
C’è ancora una strada , se vogliono: lavorino per andare alle elezioni il più presto possibile. Non mi interessa in che posizione di status tra loro. Prima che il sistema inghiotta entrambe le loro identità.