Non è la commissione interprovinciale di Cosa nostra negli anni ’80 ma una “regia” unitaria che gestisce gli affari criminali e organizza gli uomini sul territorio. “Dopo tante polemiche nelle più disparate sedi” è stata confermata in “modo sostanzialmente incontrastato la tendente unitarietà della ‘ndrangheta”. Ad affermarlo nella loro relazione annuale i magistrati della Direzione nazionale antimafia che tracciano anche per il 2013 una analisi approfondita del fenomeno ‘ndranghetista e delle altre mafie, italiane e straniere.
“Il Crimine”. “Regole e riconoscimento reciproco a cui conseguono ordine e coordinamento”, secondo il consigliere Francesco Curcio, erano e sono indispensabili, per farne la potenza criminale che oggi è diventata. “L’azienda-’ndrangheta – spiega nella relazione – è moderna, ma legata a vecchi stilemi – ha denominato queste entità, questo moderno consiglio d’amministrazione ed il suo Presidente con i nomi (antichi) di “Provincia” o “Crimine” e “Capo-Crimine”. La Provincia reggina non è solo organismo di coordinamento, di applicazione delle regole e di legittimazione e riconoscimento delle diverse strutture operanti nel sodalizio ma – come emerso nel dibattimento “Crimine” – in alcuni casi ha potere di vita o di morte. Oltre 900 pagine per raccontare, anche quest’anno, l’evoluzione delle mafie nel nostro Paese e le numerose attività di contrasto messe in atto dallo Stato per bloccare questa avanzata criminale. La ‘ndrangheta – ad esempio – ha “delocalizzato” i propri affari in Emilia – Romagna e, come si legge nella relazione – da lì sta puntando dritto sul Veneto, spiega il magistrato Roberto Pennisi tracciando una sorta di poligono che ripercorre le “autostrade” criminali che lambiscono Brescia, l’Emilia, la Romagna e il Veneto. Per queste vie passano il traffico di droga, gli investimenti nel gioco d’azzardo, le estorsioni e l’usura. In Lombardia (15 “locali” e 500 affiliati) Piemonte e Liguria la ‘ndrangheta è andata oltre il riciclaggio dei capitali “sporchi” e ha messo radici con “nuclei di ‘ndrine autorizzate” dalla cabina di regia della casa madre a Reggio Calabria, che operano con le stesse modalità di sempre. Nel Lazio, spiegano i magistrati, c’è una forte presenza della ‘ndrangheta ma – eccezion fatta per le vicende legate al mercato Ortofrutticolo di Fondi e per il sud della regione dove è stata appurata anche a livello giudiziario-penale la presenza della cosca Gallace, non ci sarebbero le stesse caratteristiche riscontrate nelle tre regioni del Nord, “infiltrate” dalle ‘ndrine. Sul complesso rapporto con la cosiddetta “zona grigia” la Direzione nazionale antimafia specifica, inoltre, che “colletti bianchi, che, per livello culturale, relazioni sociali, quotidiano stile di vita, non paiono condurre una esistenza da ‘ndranghetista anche se aiutano la ‘ndrangheta (il che a prima vista li fa ritenere esterni che forniscono un contributo al sodalizio), sono, in realtà, organicamente inseriti nell’organizzazione (e, talora, sono pure portatori di doti acquisite, però, in modo particolare e riservato )”. Un passaggio anche al rapporto fra i servizi d’Informazione e la ‘ndrangheta, anche a seguito del “caso Zumbo”, un uomo dell’intelligence infiltrato nella mafia per dare informazioni allo Stato che – secondo le inchieste – avrebbe fatto esattamente il contario. “Un corto cicruito – scrivono i magistrati – che è l’occasione per aprire una riflessione sull’apporto che i Servizi hanno dato e danno alla lotta antimafia: si sono rivelati sostanzialmente ininfluenti. Non solo “a fronte del poco o nessun vantaggio, si registrano delle evidenti controindicazioni che derivano dalla ineluttabile ambiguità generata dai rapporti confidenziali fra tali apparati statali e i criminali che forniscono notizie”. “Nei gravissimi atti intimidatori del 2010 in danno dei vertici della magistratura Inquirente reggina spiegano – sono tutti elementi che, con certezza, non riconducono ad uno scenario esclusivamente ‘ndranghetista, ma, piuttosto, ad una convergenza fra diverse entità ed interessi […]“. Infine, aggiungono i responsabili della Corte d’Appello di Reggio Calabria, in riferimento allo scioglimento del Comune, “[…] La ‘ndrangheta ha raffinato le tecniche di condizionamento delle istituzioni, sviluppando al massimo la capacità di infiltrazione all’interno della Pubblica Amministrazione con un personale coinvolgimento di politici, uomini dell’imprenditoria e legami con la massoneria […].
Cosa nostra e la “cooperazione” orizzontale. A distanza di anni dall’operazione “Mandamento”, i magistrati continuano a sottolineare l’importanza di quell’indagine che mise un freno alla “rifondazione” dei vertici della mafia siciliana. Da allora, continuano i tentativi di ristrutturazione interna ma al momento l’unico risultato è il raggiugimento di un sostanziale equilibrio fra i mandamenti. “C’è scrivono dalla Dna – una sorta di “cooperazione orizzontale” dentro Cosa nostra che in questi anni garantisce il proseguimento dell’attività criminale, a fronte di alcuni ritorni di alcuni boss scarcerati. Infine, un dato: in particolare nei confronti del pizzo c’è stata una significativa reazione della società civile, del mondo delle professioni, dei commercianti. Questi risultati – scrivono – hanno dimostrato che “quando lo Stato vince i mafiosi arretrano e soprattutto perdono consenso”. Sono tanti ancora i ricavi che arrivano per Cosa nostra dal traffico di droga, dalle estorsioni, dall’usura, dall’infiltrazione negli appalti pubblici. La relazione affronta, infine, anche il nodo dei rapporti mafia-politica, soffermandosi in particolare sullo scioglimento di un Comune in provincia di Catania e il condizionamento dei subappalti nelle opere pubbliche in diverse province della regione. Inoltre, alla luce dei processi in corso a Palermo e Caltanissetta sulle stragi del ’92-’93, i magistrati affrontano, in due diversi passaggi la questione relativa ai rapporti Stato-mafia, alla “trattativa” e ai recenti sviluppi processuali. I magistrati della Dna scrivono “Si deve peraltro dare atto del recente deposito della sentenza con la quale la IV sezione penale del Tribunale di Palermo ha assolto il prefetto Mario Mori ed colonnello Obinu dalle accuse relative alla mancata cattura di Bernardo Provenzano nell’anno 1996. Tale processo presenta significativi momenti di collegamento sia probatorio che sostanziale con quello in argomento ed il suo esito non può non destare oggettivi motivi di preoccupazione in relazione all’impostazione del proc. c.d. trattativa“.
Camorra cellulare. “Capillare” “frammentata” e “diffusa”: così appare la camorra nella fotografia scattata dai magistrati della Direzione nazionale antimafia. Sorprende, anche quest’anno, la pervasività dei numerosi clan campani, non solo nella città di Napoli ma in tutta la regione. Come conferma il rapportoTranscrime “la vocazione” della camorra rimane la pratica “a tappeto” delle estorsioni e del prestito a tassi usurai. Il risultato è l’infiltrazione nel tessuto socio-economico della regione, il reimpiego dei capitali illeciti in arrivo anche dal narcotraffico, direttamente in attività legali, spesso ristorazione o immobili. Presente – scrivono i magistrati – in maniera molto forte nel Lazio e in Lombardia, la camorra ha messo le mani negli ultimi anni sul business del gioco d’azzardo. Nella relazione curata dalla dottoressa Di Martino, a tal proposito, si registra un dato: gli introiti di questo settore sono in lieve calo, anche per i boss ma contestualmente aumentano quelli in arrivo dal gioco d’azzardo on line. Si tratta, dunque, conti alla mano solo di una diversificazione del mercato, di un reindirizzamento degli introiti. Soprattutto perché i clan hanno già “acquistato” la proprietà dei portali on line di giochi on line e trovato il modo di guadagnare da questo nuovo sistema d’azzardo. Infine, è in Toscana, per ragioni inizialmente casuali e Emilia – Romagna, dove riciclano denaro porco, che si sviluppa e amplifica parte della potenza economico-criminale della camorra. Molto forte, ancora, il legame fra i boss e la politica: su tutti quest’anno un passaggio della relazione è dedicata allo scioglimento del Comune di Giugliano, per il rischio di infiltrazioni dei clan della camorra.
La Sacra Corona Unita e la “sommersione”. Hanno scelto, come Cosa nostra nella seconda metà degli anni ’90, la strategia dell’inabissamento e – a giudicare dall’analisi della Dna – hanno trovato per questa via il rafforzamento che aspettavano da tempo. Sono i boss della Sacra Corona Unita, mafia del Salento considerata a torto meno pericolosa e quasi sconfitta. La loro scelta di “sommersione” ha portato ad un aumento del giro d’affari e un intensificarsi dei rapporti con la politica locale. Traffico di droga, gioco d’azzardo e usura sono i business alla base di questo nuovo rilancio della Scu che preoccupa gli inquirenti e che inquina il tessuto socio-economico delle province in cui è maggiormente presente. In particolare, i magistrati segnalano un dato sorprendente: il contrabbando, primo affare della Scu sarebbe tornato nuovamente un affare redditizio nelle mani dei boss locali. Cambiano le rotte dei traffici e i marchi delle sigarette ma – secondo la relazione – ma questi traffici si sarebbero intensificati sino a raggiungere i livelli ”degli anni ’90″.
Economia criminale. Un incremento elevato delle operazioni sospette. Questo l’allarme lanciato da Bankitalia nella relazione della Direzione nazionale antiamfia.” Il primo semestre del 2013 – scrivono – ha registrato l’arrivo di 31.544 segnalazioni, talchè l’imponente incremento dell’intero 2012 appare destinato sostanzialmente a riproporsi nel 2013. Così, l’anno di riferimento, ossìa il secondo semestre del 2012 ed il primo del 2013, presenta un flusso di 64.295 segnalazioni complessivamente pervenute alla UIF”. A fronte di questa continua infiltrazione a livello finanziario la Dna spiega come anche le strutture di controllo, monitoraggio e d’indagine siano state potenziate e quanto questo aspetto del contrasto all’economia illegale sia diventato centrale e appannaggio di un coordinamento interforze fra diversi settori che si occupano proprio di inchieste antiriciclaggio. Focus specifici (contenuti nella relazione) su gioco d’azzardo, agromafie, appalti pubblici, tratta degli esseri umani, narcotraffico e ecomafie, consentono di toccare con mano quanto imponente sia il fatturato di questa impresa – criminale che drena risorse allo Stato e lede diritti dei cittadini, alterando il mercato e inquinando l’attività politica, economica e finanziaria sui territori e a livello internazionale.
Mafie da importazione. Anche quest’anno gran parte della relazione è dedicata all’analisi del fenomeno criminale in arrivo dall’estero. Mafie cinesi, russe, nord africane e dell’est Europa gestiscono un’ ingente fetta di mercato criminale nel nostro Paese. Mafie spesso più insidiose di quelle autoctone sebbene non siano radicate sui territori poiché la poca consapevolezza della loro presenza consente ai clan di operare in regime di basso o nullo allarme sociale. Il rapporto con le mafie italiane è di “spartizione” dei diversi business e quasi masi di “scontro”, eccezion fatta talvolta per il traffico di droga, settore in mano a numerose organizzazioni criminali internazionali. La contraffazione, come spiegano i magistrati, è un altro settore in cui una sorta di “join -venture” fra mafie italiane, in particolare la camorra, e straniere ha fatto lievitare gli introiti. Nonostante queste convergenze la presenza di queste “mafie da importazione” sul nostro territorio assume contorni molto diversi da quello delle mafie cosiddette tradizionali ma l’allarme sociale rispetto a queste presenze è ancora molto basso.