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Un sistema di scatole cinesi dietro la discarica di Borgo Montello

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di Andrea Palladino

Per due giorni gli elicotteri del Gico di Roma – il gruppo della finanza specializzato in criminalità organizzata – hanno sorvolato i 48 ettari della discarica di Borgo Montello a Latina. Un volo radente, lento. Era la fase finale di una caccia al tesoro che ha portato nelle casse dello Stato la somma record di 270 milioni di euro, sequestrati all’imprenditore napoletano Giovanni De Pierro. Il colonnello Gerardo Mastrodomenico da mesi spulciava la contabilità e i libri sociali di una rete di ottantasette società. Una holding sfuggente e potente. Cambi di indirizzo, quote affidate a fondi esteri, bilanci che improvvisamente si svuotano: c’erano tutti gli indizi per una storia di criminalità finanziaria. Quella proprietà di Borgo Montello subito ha attirato l’attenzione: che senso aveva l’investimento milionario nelle terre contaminate a cinquanta chilometri da Roma, dove dal 1972 in poi è cresciuta la seconda discarica del Lazio? Che ruolo ha avuto Giovanni De Pierro nel business con al centro quella montagna di milioni di tonnellate di monnezza cresciuta grazie a emergenze, vere o presunte? In fondo, ufficialmente questo è il piccolo regno di due imprese – non coinvolte nelle indagini – che nulla hanno a che vedere con l’imprenditore accusato di riciclaggio. Due nomi che però conviene annotare: Indeco e Ecoambiente. Insieme ad una data chiave: il 1994.

Pezzi da novanta e scatole cinesi

Partiamo dal 1990. La discarica di Latina funziona da diciotto anni. Prima, fino al 1988, i padroni della ferriera erano due imprenditori locali, Andrea Proietto e Umberto Chini. Vendono tutto a società riconducibili a Biagio Maruca, un palermitano che secondo l’ex senatore Maurizio Calvi faceva riferimento al gruppo romano di Giulio Andreotti, guidato dallo “squalo” Vittorio Sbardella. Entrano in gioco due società apparse dal nulla. Prima la Guastella impianti – che poco dopo si fonde con la Ecomont, nome chiave nella storia di Borgo Montello, una sorta di snodo dove transitano le proprietà dei terreni – e poi la Ecotecna, srl costituita da sconosciuti operai e studenti. In quello stesso periodo sbarcano a Borgo Montello i pezzi da novanta della gestione dei rifiuti, i fratelli Pisante del gruppo Acqua. Il 18 settembre del 1990 i due fratelli pugliesi stanziano una fideiussione da 1,8 miliardi di lire a favore della Ecotecna srl, che acquisiscono. Nello stesso tempo la giunta regionale del Lazio autorizza il trattamento di rifiuti speciali di origine industriale, aprendo le porte della discarica anche  al polo chimico della zona, da tempo interessato a realizzare un impianto per trattare le scorie delle lavorazioni. Provando a fotografare la situazione di Borgo Montello all’inizio degli anni ’90 – ovvero poco prima dell’arrivo dell’imprenditore Giovanni De Pierro, il mago delle scatole cinesi – abbiamo l’arrivo dei pezzi da novanta dal nord, una discarica per la monnezza di Latina che si stava esaurendo mentre la regione Lazio era in emergenza. Con un balletto di passaggi societari ancora oggi tutti da chiarire: perché – ad esempio – il colosso Acqua va via dopo aver investito diversi miliardi di lire? Un dato certo sui soldi che erano in gioco a Borgo Montello in quel momento lo fornisce la stessa società dei fratelli Pisante (che da lì a poco verranno indagati da diverse Procure): nel 1992 la stima del “cantiere” di Latina era di 238 miliardi di lire. Un vero tesoro nascosto tra i sacchetti della monnezza.

Mister De Pierro, I suppose

L’arrivo dell’imprenditore napoletano – proprietario di quei 270 milioni di euro sequestrati nei giorni scorsi dalla Guardia di finanza – ha una data certa. Il 13 ottobre 1994 la società Immobiliare Giulia, riconducibile a Giovanni De Pierro, acquista i terreni di Borgo Montello. Chi vende è la Ecomont srl, all’epoca controllata da Biagio Maruca, il palermitano che acquista l’impero dei rifiuti pontini nel 1988 dai due imprenditori locali. A gestire la discarica in quel momento era la Bfi, che – poco dopo – verrà acquistata dal gruppo di Giuseppe Grossi, il “re delle bonifiche” di Milano. De Pierro compra in quello stesso periodo anche gli invasi S1, S2 e S3 – coltivati prima da Proietto e Chini, poi dalla Guastella/Ecomont di Maruca – ormai chiusi. Secondo l’Arpa Lazio – che dal 2005 sta monitorando le falde acquifere – in quella zona ci sono solventi derivanti da rifiuti industriali. Chi ha visto lo stato degli invasi in quegli anni parla di un inferno dantesco, dove le terre letteralmente galleggiavano su laghi di percolato. Era un pazzo Giovanni De Pierro? Decisamente no. Nelle intercettazioni telefoniche attivate dal Gico di Roma nel 2008, i banchieri svizzeri lo chiamavano “baffetto”. Per i giudici del Tribunale di Roma che hanno firmato il decreto di sequestro dei suoi beni lo scorso 23 gennaio è semplicemente “l’organizzatore di una associazione criminale finalizzata alla commissione di delitti di truffa aggravata, appropriazione indebita aggravata e riciclaggio”. Un mago dei bilanci in altre parole in grado di svuotare le società che costituisce spedendo i soldi all’estero, utilizzando, tra l’altro, i canali del banco Desio Lazio. Perché un finanziere esperto come De Pierro compra in blocco una discarica abbandonata? E soprattutto, come entra nel giro della monnezza, in un territorio dove – fino a quel momento – non aveva contatti imprenditoriali? E, infine, qual è la “camera di compensazione” in grado di mettere insieme una società che si avviava al fallimento (la Ecomont) con un finanziere spregiudicato esperto in off shore e società usa e getta?

Uno strano fallimento

Nel 1996 la Ecomont fallisce. Il curatore fallimentare nominato dal Tribunale di Latina decide di impugnare l’atto di vendita delle terre – unico patrimonio tangibile della società – all’immobiliare Giulia di De Pierro. Nel 1997 una parte delle terre acquistate torna alla Ecomont, mentre la decisione – di primo grado e quindi non definitiva – per l’acquisto delle vecchie discariche arriverà solo undici anni dopo, nel 2008. Nel frattempo c’è un colpo di scena. Anzi, due.  Il primo: quella Ecomont che vende i terreni a De Pierro prima di fallire, oggi risulta controllata da quella stessa holding definita criminale dai giudici di Roma che firmano il sequestro del patrimonio dell’imprenditore napoletano. Il 6 agosto del 1999 la società di Biagio Maruca, Led srl, cede la maggioranza delle quote della Ecomont alla Ideal Building Maintenance, gruppo, questo, inserito nel provvedimento di sequestro. Attenzione alla data: in quel momento la Ecomont era stata già dichiarata fallita. Dal punto di vista commerciale acquistare le quote di una società che ha portato i libri in tribunale significa comprare solo debiti. Una follia, in altre parole, a meno che l’operazione non avesse altri fini. Il secondo colpo di scena – in ordine di importanza – è l’affitto dei terreni della vecchia discarica alla Ecoambiente, gruppo che diventa operativo nel 1998 e che oggi gestisce metà dell’invaso, con il controllo societario esercitato dalla holding di Manlio Cerroni e da Francesco Colucci. Due imprenditori arrestati lo scorso gennaio per traffico illecito di rifiuti. Gli intrecci societari fanno sì che oggi sia difficile stabilire con certezza la proprietà di buona parte della discarica. Le terre che ospitano gli impianti della Ecoambiente sono formalmente di proprietà di Giovanni De Pierro; il Tribunale di Latina ha però deciso di annullare l’atto di acquisto, restituendo il tutto alla Ecomont; questa a sua volta è di proprietà dello stesso De Pierro, che ha il patrimonio sequestrato dal Tribunale di Roma; la gestione della Ecomont da quasi diciotto anni è nella mani di un curatore fallimentare. Non solo. Nell’atto di cessione di quote della Ecomont del 2005 (il 40% ceduto per la cifra simbolica di un euro da una delle società riconducibili ad un socio di De Pierro) non appare l’intervento del curatore fallimentare, che dovrebbe tutelare l’interesse dei creditori, come prevede la legge. C’è una domanda finale: il contratto di affitto delle terre utilizzate per le discariche di Ecoambiente scadrà nel 2016. Chi garantirà la bonifica?

La strana morte di don Cesare Boschin

Mentre era in corso il complesso vortice societario a Borgo Montello, caratterizzato dall’arrivo di Giovanni De Pierro con le sue scatole cinesi, muore il parroco don Cesare Boschin. Aveva 81 anni, ma la sua non è stata una morte naturale. Viene ritrovato il 30 marzo del 1995 nella canonica legato mani e piedi, imbavagliato e soffocato. Le indagini durano pochi mesi e il fascicolo finisce negli archivi. Moltissimi testimoni concordano su un fatto: don Cesare in quei mesi si stava occupando dei rifiuti e della discarica. Una coincidenza di date? Forse, ma la recente indagine del Gico di Roma sull’impero di Giovanni De Pierro meriterebbe di essere accuratamente approfondita. Troppe le stranezze, le incongruenze, i passaggi oscuri. E tanti, tantissimi i soldi che erano in gioco tra il 1994 e il 1995, l’anno della morte di don Cesare.

Da liberainformazione.org


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