Ucraina, Tymoshenko: “La dittatura è finita, bisogna assicurare che i manifestanti non siano morti invano”

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E’ finita come tutte le rivoluzioni. Con la folla che abbatte i simboli del potere (la statua di Lenin) e si appropria “festante” dei luoghi, generalmente fastosi, dell’ultimo che lo deteneva. E’ successo anche in Ucraina con i manifestanti, e gli stessi poliziotti, che entrano nella reggia di  quel  gigante di Viktor Fëdorovyc Janukovyc, si siedono nel salotto buono, fotografano lo zoo, i galeoni, il water d’oro, immortalano il  rovesciamento come un trofeo. Per le strade di Kiev restano i morti, tanti morti, e alcuni significativi passaggi mediatici: un cronista che muore con la telecamera accesa, un’infermiera che manda tweet in punto di morte (poi scongiurata), un suonatore di cornamusa fra le barricate, un cecchino che bacia la croce. E come in tutte le rivoluzioni c’è naturalmente anche l’eroe, anzi stavolta l’eroina: Yulia Tymoshenko , la samurai con le trecce, leader arancione e icona della protesta. Apparsa finalmente libera, sulla sedia a rotelle dopo anni di carcere. “La dittatura è finita, bisogna assicurare che i manifestanti non siano morti invano. Oggi l’intero nostro Paese può vedere il sole e il cielo.  E la dittatura è caduta non grazie ai politici e ai diplomatici, ma grazie a coloro che sono scesi in strada”.  Forse però non è affatto finita. Il presidente deposto, dal suo rifugio a Kharkov (la chiamo come in Russia, dove forse è già fuggito) non è affatto disposto a farsi da parte e grida al golpe. E affila le armi, ricordando gli undici miliardi di dollari come patrimonio della rivoluzionaria e magari anche l’intervento dei “pravi sektor”, gli ultrà di destra, che hanno scatenato tutto quel sangue a piazza Maidan. Resta il nodo politico. L’Europa è riuscita a “imporre” un accordo, fissando per fine maggio le elezioni anticipate. Ma le distanze fra blocco occidentale e mondo sovietico rischiano di spaccare in due questo Paese così grande e importante. I protagonisti di una pace vera, non di una tregua,  sono sempre loro: Obama e Putin. Pare che si siano già parlati al telefono e che siano d’accordo nella ratificazione rapida dell’accordo, impegnandosi su economia e riforme. Forse non conviene a nessuno avere quella bomba nucleare al centro del vecchio continente.


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