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“Non voglio vivere sotto sorveglianza”. Governance della rete e libertà

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“Non voglio vivere in un mondo dove ogni cosa che dico, ogni cosa che faccio, ogni persona con cui parlo, e ogni espressione di amore, creatività e amicizia, sia registrata.” Lo ha detto uno che se ne intende: Edward Snowden. Le rivelazioni di Snowden, la talpa del datagate, hanno prodotto un terremoto nelle relazioni internazionali e convinto molti capi di stato a occuparsi finalmente di privacy e sicurezza delle reti e di come prevenire lo spionaggio dei dati lungo le grandi dorsali di comunicazione. Il presidente brasiliano Dilma Roussef domani incontra Francois Hollande per comunicargli l’intenzione di stendere un cavo sottomarino dal Brasile all’Europa per evitare di far passare il traffico internet del suo paese attraverso gli Usa che, in base a una serie di leggi (Patriot Act e Fisa Act), si sono arrogati il diritto di controllare con chi, per quanto tempo e con che mezzo i cittadini di tutto il mondo comunicano fra di loro.

Una settimana fa il presidente tedesco Angela Merkel ha dichiarato invece di volere discutere con Francois Hollande della creazione di una “Internet Europea” in grado di mantenere il traffico dei cittadini UE dentro i confini europei senza passare dagli Usa per lo stesso motivo.

Quella della Merkel, per quanto abborracciata, è stata la risposta alle dichiarazioni del commissario Europeo Neelie Kroes sullo stesso tema che, al netto delle semplificazioni giornalistiche si chiama “governance di Internet”, e riguarda appunto la gestione tecnica della rete. E quindi riguarda l’interconnessione delle reti geografiche nazionali che confluiscono in quella mondiale, “Internet” (crasi di Interconnected networks); gli standard e i protocolli di comunicazione che consentono ai computer di “parlarsi” fra di loro in maniera sicura e affidabile (Tcp/Ip, www, https, SSL); il sistema di indirizzamento delle richieste (i Domain name servers che traducono gli indirizzi numerici dei computer e ci fanno arrivare sui siti che cerchiamo).
Ma la governance di Internet è fatta anche di “policies”, cioè di norme e regolamenti che al livello più alto riguardano le leggi nazionali e internazionali, quindi sia gli accordi di cooperazione tra gli stati per perseguire i crimini senza confini commessi attraverso la rete delle reti, sia la garanzia di consentire a chiunque di esprimersi attraverso queste reti in omaggio all’articolo 27 della dichiarazione dei diritti umani.

La Governance di Internet
Difficile da capire che questi differenti livelli di intervento sono oggetto di una cooperazione avanzata tra gli stati e i loro attori commerciali e istituzionali? No, se diciamo che Internet è fatta a strati (layers): il primo è “fisico” e riguarda le infrastrutture di comunicazione: cavi, torri, ponti radio, hotspot, linee telefoniche; il secondo è tecnico e riguarda le regole e i protocolli (Tcp/Ip, IpV4, IpV6); il terzo riguarda i contenuti e i linguaggi condivisi sulla rete (gli standard html del W3C, ma anche la lingua degli indirizzi web, fino ai contenuti veri e propri: audio, testo, video); l’ultimo è quello delle leggi (le norme su privacy, copyright, sicurezza, eccetera).
Questi layers si integrano a partire dagli sforzi che molti soggetti, privati e pubblici, fanno per garantire efficienza, stabilità ed evoluzione di Internet. Questo sforzo congiunto che ha come obiettivo la Governance della rete, cioè la gestione tecnica della rete, ha i suoi attori in organismi come IANA, Icann, Isoc, IETF, W3C; ha i suoi stakeholder, i portatori di interesse, nei cittadini di tutto il mondo, clienti di telco, consorzi di ricerca, imprese e governi, e un suo “parlamento”, l’Internet Governance Forum, dove questi si confrontano per garantirne apertura, privacy e sicurezza.

La posizione dell’Europa
Consapevoli dell’aspetto altamente integrato, globale e cooperativo di questa gestione, la Kroess e la commissione europea chiedono una governance di Internet più trasparente, responsabile e inclusiva, affinchè la rete serva a proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani online perchè “non sono negoziabili”. In concreto la commissione ha proposto di stilare un cronoprogramma per la condivisione delle responsabilità di ICANN e “IANA”, un rafforzamento dell’Internet Governance Forum, la creazione di un Global Internet Policy Observatory, una armonizzazione delle leggi nazionali e l’impegno a garantire l’inclusione degli stakeholder nei processi di gestione della rete ma anche un insieme di principi per salvaguardare la natura aperta e non frammentabile di Internet. Ma soprattutto, e questo è il dato politico più rilevante l’impegno a globalizzare il decision-making necessario alla salvaguardia della stabilità, sicurezza e risilienza di Internet senza pensare di delegarne le funzioni ai singoli governi proprio per tutelare  Internet come motore dell’innovazione. E come si può fare? Per la Kroess la risposta è chiara: “la governance di Internet deve essere basata sul pieno coinvolgimento di tutti gli attori di rilievo.”

La Governance di Internet al Parlamento italiano
Venerdì 22 febbraio alla Camera dei Deputati hanno presentato il loro modello di governance della rete i rappresentanti del Comitato brasiliano per la Governance di Internet. Un modello elaborato a partire dal protocollo Italia-Brasile del 2007 che attualizzava la proposta italiana di una Carta dei diritti della rete (Internet Bill of rights) di cui era stato portavoce Stefano Rodotà durante il governo Prodi. Il Brasile è la nona economia più forte al mondo, la decima democrazia per numero di cittadini e in aprile ospiterà un summit globale per discutere le regole di Internet in relazione proprio al Datagate. Le decisioni del suo governo influenzeranno la geopolitica di Internet per gli anni a venire. Venerdì 22 nella sala del Mappamondo c’erano gli stakeholder della rete, cittadini, esperti, la Telecom, Wind, l’associazione degli Internet provider italiani, persino Frank La Rue, l’inviato speciale dell’ONU per la libertà d’espressione e d’informazione. E c’erano solo sei parlamentari italiani su 950: un piddino, un montiano, quattro grillini. L’Italia è stata assente negli ultimi forum glonbali sulle politiche di Internet. Ma adesso è ora che il Parlamento insieme ai cittadini cominci a lavorare sul serio al tema e che il futuro governo abbia un delegato che se ne occupi. È una questione di libertà, di democrazia e di sviluppo. E non è più rinviabile.

 *Arturo Di Corinto, membro di Articolo21, è autore del libro Un dizionario Hacker (Manni editori, 2014)


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