Nel percorso obbligato dell’ integrazione continua tra informazione e tecnologia, la settimana scorsa il New York Times ha messo a segno un bel colpo: l’ assunzione del Prof. Chris Wiggins, un biologo, come Chief Data Scientist. Una collaborazione tanto inedita quanto innovativa, iniziata lo scorso autunno durante l’ anno sabbatico di Wiggins, che si appresta ora a trascorrere una giornata a settimana in redazione per guidare il nascituro gruppo di studio per “l’ apprendimento automatico”.
Docente di matematica applicata e membro dell’Institute for Data Sciences and Engineering presso la Columbia University, fra le sue eclettiche attività Wiggins è anche co-fondatore di hackNY, progetto mirato a «portare la prossima generazione di hacker nella comunità di innovatori di New York».
La vera sorpresa sta però nel fatto che negli ultimi 10 anni Wiggins ha lavorato in una disciplina ben lontana dal giornalismo, cioè la biologia. Non a caso è co-animatore nel Center for Computational Biology and Bioinformatics (C2B2) presso la medesima università e convinto sostenitore della ricerca interdisciplinare: «Lavoriamo per migliorare l’assistenza sanitaria, per implementare le ‘smart city’ e comunicazioni più sicure, per preparare il futuro del giornalismo e dei media».
Quale sarà il suo ruolo al blasonato quotidiano della Big Apple? Lo spiega lo stesso Wiggins in un’intervista per la testata Fast Company, partendo da un assunto importante: «Il New York Times sta attivando un gruppo di lavoro per estrarre dati significativi sui contenuti prodotti e sul modo in cui lettori navigano e consumano tali contenuti. Trattandosi di un sito con un traffico elevato e un’utenza ampiamente diversificata, il New York Times ha un’opportunità inedita di ascoltare e seguire al meglio i suoi lettori sul web»
Impossibile sfuggire alla domanda d’obbligo: cosa c’entra mai la biologia con il giornalismo? «I problemi in cui oggi s’imbattono molte discipline basate sui dati sono gli stessi affrontati dalla biologia 15 anni fa, con la compilazione della sequenza del genoma umano. Credo esista parecchio in comune tra l’applicazione dello studio dei dati nel campo delle scienze naturali e nel mondo reale. Qui la gente pone domande partendo da un ambito diverso, basandosi su un’abbondanza di dati, e cercare di ricontestualizzare queste domande come un apprendimento automatico è un impegno creativo e stimolante».
Ma cosa vuol dire in concreto applicare “l’ apprendimento automatico” alla redazione di una testata di alto livello come il New York Times? «A livello imprenditoriale, il The New York Times ha tutto l’interesse a stabilire relazioni di lungo termine con i suoi lettori, e quindi vuole capire quali comportamenti sono direttamente legati alla fidelizzazione, quali invece suscitano insoddisfazione, in particolare riguardo agli abbonati. Stiamo cercando di capire in che modo i lettori si relazionano al sito, e ”l’apprendimento automatico” è utile per individuare sia il tipo di di contenuti che maggiormente coinvolgono i lettori e sia il business vincente. Dare ascolto ai clienti tramite un sito web di alto traffico è ben diverso dai gruppi-campione o dai sondaggi».
E se il concetto non fosse abbastanza chiaro, il Prof. Wiggins conclude così l’intervista: «Ogni volta che qualcuno naviga su un sito web, lascia dietro di sé una traccia di dati. E pur se metterli insieme in modo sensato non è affatto un compito facile, ciò offre dei riscontri immediati sul modo in cui gli utenti usano il sito, su come migliorarne i contenuti, su quali nuovi prodotti possano funzionare. Credo sia una vera e propria trasformazione per il business del giornalismo».
Da lsdi.it