di Simone Bauducco
Non aveva mai deposto in aula fino ad ora, il collaboratore di giustizia della ‘ndrangheta Nicodemo Ciccia, detto “u Nicareddu”. Lo ha fatto per la prima volta nelle giornate di ieri e di oggi nell’aula 7 del Tribunale di Torino rispondendo alle domande dei pm Monica Abbatecola e Roberto Sparagna all’interno del procedimento Colpo di Coda sull’infiltrazione della criminalità organizzata in Piemonte.
Per oltre 14 ore ha raccontato la sua vita da affiliato alla locale di Cuorgnè con la dote di “Vangelo”fino alla decisione di collaborare con la giustizia avvenuta nel settembre 2013. Una scelta presa per tutelare la propria compagna e per salvaguardare il figlio di quattro anni. Incalzato dai Pm, Ciccia ha ricostruito le dinamiche dell’organizzazione di cui faceva riconoscendo come membri della locale di Cuorgnè e di Natile di Careri a Torino alcune delle persone assolte nella sentenza di I grado di Minotauro. Stesso discorso vale per l’esistenza della Bastarda, che non è stata riconosciuta. Di fronte al collegio composto dai giudici Casalegno, Toppino e Goria, Ciccia ha sostenuto l’esistenza della Bastarda definendola come “una locale non riconosciuta a livello di ‘ndrangheta come organizzazione: agiscono senza rendere conto a nessuno. Sono, di fatto, però, tutti ‘ndranghetisti”.
Ma il racconto del collaboratore di giustizia è partito dagli inizi della sua storia criminale: quando, verso la fine degli anni Ottanta, dopo essere cresciuto a Mammola (RC), raggiunge gli zii in Piemonte e si stabilisce a Rivara Canavese. Con un diploma di terza media, trova lavoro in una ditta di pavimentazione stradale di Ozegna, ma presto inizia ad operare nel campo del traffico di droga. Gli stupefacenti – stando alle dichiarazioni di Ciccia – provenivano dalla famiglia Agresta, ma ad introdurlo nel giro criminale è Nicola Loccisano. Il primo arresto risale al 1993. Dopo due anni di carcere, prova a ritornare a lavorare legalmente e si sposa nel 1996 ed ha subito un figlio. Ma nel 2000 viene nuovamente arrestato, sempre per droga. Rimarrà in carcere fino al 2007 ed è proprio in questo periodo che diventa un affiliato della ‘ndrangheta.
Durante la permanenza nel carcere di Saluzzo condivide la cella con Candeloro Pio, cugino di Giuseppe Minniti (entrambi imputati nel processo Infinito di Milano NDA) che gli propone l’affiliazione. “Io dopo averci pensato un po’ ho accettato così lui mi disse che avrebbe preso i contatti con Bruno Iaria” racconta tra i sorrisi dei dodici imputati che presenziano all’udienza. “Così durante l’ora di socialità, è avvenuto il rito di affiliazione e ho ricevuto la dote di picciotto e camorrista nello stesso momento”. Appena uscito dal carcere, si rivolge a Bruno Iaria, capo locale di Cuorgné che si congratula per la sua affiliazione. I due si sono conosciuti per la prima volta nel 2005 nel carcere di Ivrea quando Ciccia non era ancora un membro della ‘ndrangheta, ma “Quando arriva un paesano dal carcere ci mettiamo a disposizione”. Dopo il primo contatto nel 2005, il legame tra i due diventa sempre più intenso: “eravamo in rapporto di amicizia reciproca, ci fidavamo a vicenda l’uno dell’altro” racconta il pentito. Così verso la fine di quello stesso anno, riceve la dote di Santa proprio a casa di Iaria: “Il rituale per la dote di Santa prevede che sia presente un’arma, così Iaria ha chiesto ad uno dei presenti di andare a prendere una pistola”. Il “cursus honorum” del pentito giunge al suo apice l’anno successivo quando in un ripostiglio del Bar Italia a Torino Ciccia insieme a Luigi Cincinnato ricevono la dote di Vangelo. “Il rito si svolse in modo frettoloso in uno stanzino del bar non accessibile al pubblico – ricorda il pentito – erano presenti Giuseppe Catalano, Bruno Iaria, e Benvenuto Praticò”. Il rito si conclude con un pranzo, offerto dai due, al bar Italia durante il quale si fa solo un rapido accenno alla dote appena conseguita.
Il racconto di Ciccia si concentra sui doveri degli affiliati al sodalizio criminale tra cui l’obbligo di dare rifugio ai latitanti, la colletta per i detenuti, l’accompagnamento dei famigliari dei carcerati ai colloqui con i propri cari. “Un giorno Giuseppe Gioffrè ha chiesto a Bruno Iaria se c’era qualcuno disponibile ad accompagnare alcuni parenti ai colloqui al carcere di Cuneo. Così Iaria ha affidato a me questo compito e ho accompagnato la moglie di uno dei Pelle di San Luca” ricorda Ciccia. Ma i doveri della ‘ndrangheta riguardano e interessano anche la vita privata dei suoi membri a partire dalla presenza ai matrimoni e ai funerali dei parenti. “Quando si è sposata nel 2008 mia sorella Simona – ricorda con voce incrinata Nicodemo Ciccia – dopo aver parlato con Bruno Iaria, mi ha consigliato di dargli una trentina di inviti da distribuire ai membri delle varie locali. Così al matrimonio della sorella hanno partecipato Giuseppe Catalano, Giuseppe Gioffrè e per Chivasso c’era Pasquale Trunfio”. Il pentito li riconosce sulla foto delle nozze che gli mostrano i PM in aula.
Si arriva così ai fatti più recenti, all’arresto per Minotauro nel giugno 2011, al patteggiamento, all’uscita dal carcere e all’ultima serie di estorsioni avvenuta tra la sua scarcerazione l’arresto per estorsione avvenuto nel settembre 2013. Sono tre i casi di estorsione raccontati da Ciccia: quello di un cantiere a Salassa, una tipografia di Leinì e la ditta Claro nella quale lavorava anche Salvatore Pittito, presunto membro della locale di Chivasso: “Abbiamo scelto questa ditta perchè sapevamo che lavorandoci il Pittito sapevamo che non avrebbero sporto denuncia ma si sarebbe rivolto a qualcun altro”. L’ultima parte dell’esame del collaboratore riguarda i legami con la politica. Qui in maniera vaga Ciccia ricorda l’appoggio di Iaria alla famiglia Coral in vista delle elezioni e di come Iaria gli parlasse spesso del sindaco di Rivarolo Bertot.