E adesso che si fa? Ora che ne hanno nominate ben otto? Viaggio nella schizofrenia dei media che non si rassegnano (ancora) a declinare i ruoli al femminile.
Di Adriana Terzo
E adesso che si fa? Adesso che ne hanno nominate ben otto? Già ce le immaginiamo le colleghe e i colleghi delle redazioni centrali di giornali e tv, in eterno affanno nel già caotico traffico di titoli e catenacci, a correggere fino a tarda notte un titolo qua e una didascalia lì. Col ridicolo risultato – sotto gli occhi di tutti – di scambiare la lingua italiana per un optional letterario dove ognuno può dire la sua. Insomma, è come se non ci fossero precise e ferree regole grammaticali per cui ogni giornalista si sente in diritto di operare in un totale sgangheramento lessicale e morfologico. Tutto, pur di non nominarle mai queste donne che – miracolo! – adesso compongono al 50% il nuovo governo di Matteo Renzi.
Qualche esempio? Ce ne sono a decina, basta sfogliare quotidiani, settimanali, mensili o dedicarsi pochi minuti al web. Ne citiamo uno per tutti, dalla Repubblica di sabato scorso 22 febbraio, giorno successivo alla presentazione della lista dei dicasteri. A pagina 6, titolino. La squadra. Titolo: Nomi nuovi e l’obiettivo 2018. Napolitano: ultima chance. Occhiello: Oggi il giuramento. Il Colle: sul governo timbro di Renzi. Un bel paginone con le fotine per intero delle ministre, su fondo rosa (una vera sciccheria, e ovviamente a figura intera perché quando si parla di donne bisogna sempre mostrare scarpette e tailleur, scollature e stringhe a pois…).
Si comincia con gli Esteri, Federica Mogherini, Pd, 41 anni “terza donna alla Farnesina dopo Susanna Agnelli e Emma Bonino”. E fino a qui, niente da dire. Quindi si passa alla Difesa: “Roberta Pinotti, Pd, 53 anni, genovese, ex Pci e Ds, professoressa di liceo, è stata sottosegretario alla Difesa con Letta. Ora il grande salto”. Perché sottosegretario? Allora si poteva anche scrivere: professore, invece di professoressa. E’ curiosa questa dicotomia. Ma la concordanza dei generi non ci ha insegnato nulla? Non è possibile essere una volta donna e quella successiva, un uomo. Bastava semplicemente scrivere (e dire): sottosegretaria alla Difesa. Che è, la parola segretaria non ci piace?
Mi auto-cito, da un articolo che ho scritto qualche tempo fa pubblicato qui, su Giulia Globalist: “Pensate un momento alla parola segretaria, declinata da subito al femminile, dagli anni Sessanta in poi, è stata, purtroppo, spesso svilita e vilipesa nel ruolo. Bene, come sappiamo, esiste anche il segretario, ma non in quella accezione lì. E infatti ecco che il vocabolo si nobilita e diventa Franco Siddi, segretario della Fnsi. E deve essere davvero nobile se anche Susanna Camusso ci tiene a farsi chiamare segretario della Cgil, e guai a chiamarla segretaria. Ma perché se declinata al maschile, la parola immediatamente assume un connotato nobile, se al femminile no? E questo pone un’altra, delicatissima questione. Noi, noi donne, giornaliste, scrittrici, sceneggiatrici, operatrici della comunicazione. Possibile che dobbiamo esser contente di chiamarci e farci chiamare come se fossimo uomini? Quando capiremo, parafrasando Wittgenstein, che ciò che non si dice non esiste e dunque che, se non ci vedono quando parliamo, discutiamo, scriviamo, non esisteremo mai? Pensateci: un termine coniugato al maschile spinge automaticamente la nostra mente a pensare a un uomo. Ancora: tutti dicevano “Il direttore dell’Unità, Concita De Gregorio”, ma poi ecco “La direttrice dell’asilo, Cinzia Lojacono”. Ma perché un direttore di giornale è importante e dunque maschile, mentre dirigere un asilo è confinato nel ghetto di una roba da donne, anzi da donnette?”.
Torniamo a Repubblica e alle nostre ministre. Sviluppo, “Federica Guidi, tecnico, 45 anni. Imprenditrice, è stata presidente dei giovani di Confindustria”. Anche qui, tecnico ma subito dopo imprenditrice. Qualcuna mi spiegherà prima o poi perché non dovremmo dire tecnica, allo stesso modo di maestra/maestro, operaia/operaio, della serie – scuola primaria – le parole che in italiano finiscono in O, al femminile si declinano in A. Vallo poi a spiegare alle migranti che vengono al corso di italiano! (clicca sul titolo per continuare a leggere)
Andiamo avanti. Riforme, Maria Elena Boschi, Pd, 33 anni. “Avvocato, renziana, è soprannominata Faccia d’angelo. E’ la più giovane ministra del governo”. L’HA DETTO! Anzi, l’ha scritto! La collega o il collega di Repubblica ha scritto ministra. Ma allora, cavolo, si può scrivere! E perché stavolta sì, e tante altre no? Perché la lingua italiana è a discrezione dell’ignorante di turno (quello che non lo scrive, ovviamente)? E perché avvocato e non avvocata? Secondo le indicazioni del noto linguista Aldo Gabrielli, uno dei più autorevoli studiosi della lingua italiana del XX secolo, è sbagliato. Infatti, già nel 1976 (quasi quarant’anni fa) nel suo Si dice o non si dice, spiegava: “Da una terminazione maschile in -o, nasce il femminile in -a, dunque deputato, deputata. Tanto più che qui si tratta di un participio passato del verbo deputare: cioè persona deputata a rappresentare in Parlamento gli elettori. Per avvocato, la stessa cosa, altro participio passato, questo di origine latina: advocatus, da advocare, chiamare presso, cioè persona chiamata presso chi deve essere assistito in un giudizio. Maschile in -o, femminile in -a: avvocata e guai ad usare avvocatessa. Per non parlare dei ministri in gonnella”. Bisogna riconoscere che l’orgasmo linguistico può toccare vette insormontabili: ma se il femminile di sinistro è sinistra, mi chiedo, perché il femminile di ministro non può essere ministra? E quello di avvocato, avvocata?
Andiamo avanti, ce ne mancano ancora quattro. Vediamo un po’. Al ministero della Salute, Beatrice Lorenzin, Ncd, “ex fedelissima di Berlusconi”. All’Istruzione, Stefania Giannini, Sc, 53 anni. “Segretario di Scelta Civica ed ex rettrice dell’Università italiana per Stranieri di Perugia. Sostituisce la Carrozza”. A parte le risate a 64 denti per quest’ultima frasetta “sostituisce la Carrozza”, ci verrebbe da rispondere “e chi ci mette il cavallo”? Per dire, possibile che i nostri meravigliosi mezzi di comunicazione debbano citare le donne con l’articolo davanti? Diremmo mai il Renzi, il Napolitano? Al di là delle cadenze dialettali (nelle Marche, in Umbria, in Toscana, in molto Nord, ma non al Sud), la lingua dovrebbe essere univoca, o no? E comunque, anche qui, rieccolo: segretario, e subito dopo ex rettrice. Ma insomma, è sempre la stessa persona? O parliamo di due persone diverse, di cui uno è un uomo, il sottosegretario, per l’appunto?
Alla Semplificazione, Mariana Madia, Pd, 33 anni. “Responsabile Lavoro del Pd, è il secondo ministro più giovane del governo Renzi dopo la Boschi”. Fermiamoci un momento. Maria Elena Boschi, dice Repubblica, è la ministra delle Riforme. Un po’ più avanti, stessa pagina, stesso articolo, Marianna Madia è un ministro. Ci volete spiegare? Per fortuna che ha un bel pancione, a scanso di equivoci. È una donna, sì, una donna incinta, che è stata nominata ministra. Anche qui, notiamo la dicitura piuttosto scatologica e oggettivizzante “dopo la Boschi”.
Ma arriviamo alla conclusione, e cioè al ministero per gli Affari Regionali. “Maria C. Lanzetta, Pd, 58 anni, civatiana e già sindaco di Monasterace (Reggio Calabria), è da tempo nel mirino della ‘Ndrangheta che la minaccia”. Mi arrendo. Ho solo la forza di riportare, ancora, quel che afferma Aldo Gabrielli a questo proposito: “La grammatica italiana insegna una cosa elementare: che per gli uomini esiste un maschile e per le donne un femminile, non si può fare eccezione per un sindaco o per un ambasciatore”. Raccontando di come, un tempo, tutti i pittori erano maschi, almeno quelli celebri. “Ma ecco che tra il Seicento e il Settecento spuntano due astri pittorici femminili, Artemisia Gentileschi e, mezzo secolo più tardi, Rosalba Carriera. Fino ad allora si era usata la sola parola pittore, con le varianti più antiche dipintore e pintore, ma qualcuno voleva classificare anche queste donne artiste, e sorse il problema linguistico: come definirle? Il latino classico offriva solo pictor, pictoris maschile. Esisteva però un aggettivo femminile, pictrix, pictricis, creato nel basso latino: si diceva, per esempio, natura pictrix, natura pittrice. A questo aggettivo si rifecero i letterati dell’epoca sostantivandolo, e dissero: la pittrice Artemisia Gentileschi, la pittrice Rosalba Carriera. Da allora, la parola pittrice diventò comune nell’uso e nessuno oggi penserebbe di poter dire che Gentileschi e Carriera furono due celebri pittori”.
Ps. Abbiamo sorvolato sugli aspetti politici di tutto questo sgrammaticato scrivere. Una cosa per volta. Nel frattempo, se avete altri esempi, articoli, titoli, occhielli, commenti, editoriali, dove si scrive in italiano, segnalateceli. Li pubblicheremo nella rubrica settimanale “L’italiano con la A” sul sito www.loscioperodelledonne.it, su Fb e una volta al mese, su Giulia.