di Roberto Bertoni
ROMA – La situazione che si è venuta a creare nel PD al termine della Direzione di giovedì scorso è tanto semplice quanto drammatica. Gli scenari plausibili, infatti, sono solo due: o un Letta bis, con l’ingresso di alcuni renziani al governo e la promozione di Delrio agli Interni o alla Giustizia, o il ritorno anticipato alle urne, accorpato alle Europee di maggio.
La terza ipotesi, che tanto fa discutere opinionisti e commentatori, è pura fantascienza, e stupisce che qualcuno la prenda ancora in considerazione a dispetto della sua totale irrazionalità. Renzi, difatti, ha mille difetti, primi fra tutti l’inesperienza e una considerazione di sé da fare invidia a quella di Berlusconi, ma è tutt’altro che fesso: sa benissimo che l’ipotesi di una staffetta a Palazzo Chigi, spodestando di fatto Letta e ponendosi a capo di una maggioranza riottosa e prevalentemente ostile, assesterebbe un colpo mortale alle sue notevoli ambizioni politiche. Il solo fatto di ventilare quest’ipotesi e di ritenerla addirittura attuabile, tuttavia, la dice lunga sul livello di degrado che ha raggiunto il nostro dibattito pubblico, con la politica ridotta a show, arena televisiva, scaramuccia e scambio di battute insulse fra personaggi che mai sarebbero dovuti arrivare a ricoprire i ruoli che ricoprono, a scapito del merito, delle qualità individuali e, soprattutto, di quella visione globale e di quel progetto complessivo da proporre al Paese che, non a caso, mancano pressoché a tutti i partiti.
L’illusione dell’ uomo solo che fa ripartire la macchina imballata
A pensarci bene, però, rafforza anche i dubbi e le perplessità che da queste parti non abbiamo mai mancato di esprimere circa l’“illusione del renzismo”. Leggendo l’editoriale di Giannini su “la Repubblica” di qualche giorno fa, ad esempio, ci è saltata agli occhi una riflessione sinceramente sorprendente da parte del vice-direttore del giornale che più di tutti ha sostenuto l’ascesa di Renzi alla segreteria del PD: “Non serviva il genio della lampada, per capire che la difficile <<coabitazione>> tra Letta e Renzi non avrebbe retto alla prova dei fatti. Non serviva la malizia dei <<disfattisti>>, per immaginare che la pazienza del premier temporeggiatore non sarebbe stata compatibile con l’urgenza del segretario riformatore”. Già, tutto giusto, ma perché nessuno, su “Repubblica” e, più che mai, nel PD ha formulato prima questo giudizio? La risposta è, anch’essa, abbastanza semplice: perché gran parte dell’opinione pubblica, compresi numerosi intellettuali di area progressista, visti i fallimenti cui era andato incontro il PD nei mesi precedenti, si sono illusi di aver trovato l’uomo in grado di rompere i vecchi schemi e far ripartire una macchina oggettivamente imballata e oramai priva di qualsiasi spinta propulsiva
Il duro confronto con la realtà di una nazione sfibrata
Peccato che lo slogan “cambia verso” vada benissimo in campagna elettorale e sia perfetto come hastag di Twitter ma rimanga, per l’appunto, solo uno slogan quando si passa poi dal caloroso plauso dei sostenitori al duro confronto con la realtà di una Nazione sfibrata e oramai sull’orlo della disperazione.
Come è un peccato che non occorresse l’intelligenza di Michelangelo per rendersi conto, tanto a largo del Nazareno quanto nelle redazioni dei vari quotidiani e settimanali, che un ruolo così delicato si addicesse assai poco alle caratteristiche di un personaggio che – non ci stancheremo mai di ripeterlo – ha fondato tutto il proprio percorso politico sul concetto di “rottamazione” e decisione rapida, immediata, senza grandi confronti, discussioni o mediazioni di sorta.
E così il PD si trova a un bivio, con l’amara sensazione, assai visibile nel corso della Direzione benché i vari dirigenti si sforzassero di nasconderla, di essere in una situazione di scacco matto: se passasse l’Italicum senza alcuna modifica, come vorrebbe Berlusconi, addio alleanza con SEL e, dunque, addio vittoria; se si impantanasse l’Italicum, addio prosieguo della legislatura, addio riforme costituzionali, addio Letta e, di conseguenza, addio PD e addio Italia; se Letta dovesse riuscire a presentare il patto di governo “Impegno 2014” e Renzi dovesse riuscire a condurre in porto l’approvazione dell’Italicum almeno alla Camera ma non si dicesse disponibile a puntellare l’esecutivo con l’inserimento di personalità a lui vicine, addio legislatura e addio governo perché sarebbe Alfano a non accettare un contesto così sfavorevole per il Nuovo Centrodestra; se dovesse passare l’Italicum ma si impantanasse anche uno solo degli altri decreti in scadenza alle camere, riprenderebbero le fibrillazioni nella maggioranza con conseguenze al momento imponderabili.
Indispensabili modifiche alla bozza di nuova legge elettorale
E qui torniamo al punto di partenza: o Renzi decide di indossare i panni dello statista, consentire alcune indispensabili modifiche alla bozza originaria della legge elettorale e sostenere lealmente il governo innervandolo di forze fresche e competenti oppure si vota a maggio.
Nel primo caso, Renzi perderebbe gran parte del suo fascino ma dimostrerebbe di possedere il senso dello Stato necessario per conferire un minimo di consistenza alle sue aspirazioni; nel secondo, conserverebbe intatto il suo fascino ma riconsegnerebbe il Paese in mano a Berlusconi o, peggio ancora, a Grillo.
Sta a lui decidere. Nel nostro piccolo, ci permettiamo di dargli un consiglio: occhio, perché non avrai un’altra occasione per dimostrare le tue qualità. La politica è mediazione e confronto, il resto è solo populismo e non conduce da nessuna parte se non nel baratro.
Da dazebao.it