di Tonio Dell’Olio
Le mafie di nuova generazione, quelle globalizzate nel tempo della crisi, hanno una sola esigenza impellente: reinvestire il tanto denaro che proviene dal narcotraffico e dalle molteplici attività illecite. Il porto sicuro di quei soldi non sono soltanto i paradisi fiscali classici che inghiottono denaro sporco promettendo il massimo rendimento, ma anche autorità finanziarie compiacenti, istituti bancari che, assetati di liquidità, evitano di porsi troppe domande sulla provenienza dei soldi, istituzioni politiche nazionali che stentano a varare dispositivi e norme che potrebbero ostacolare l’afflusso di capitali entro i propri confini. Oggi in particolare non si deve più parlare di infiltrazione delle mafie nel mondo dell’economia, quanto piuttosto di domanda da parte dell’economia lecita di liquidità di ogni tipo. Per queste ragioni in tutti questi anni come Libera abbiamo chiesto che le istituzioni europee mettessero mano a una legislazione coerente e vincolante in tema di riciclaggio di denaro sporco e che soprattutto prevedessero quel meccanismo di confisca di cui le mafie hanno paura. La confisca dei beni in Italia l’avevamo sperimentata sin dai tempi in cui Pio La Torre aveva ostinatamente proposto una legge che finalmente colpiva gli esponenti delle grandi famiglie malavitose non solo con la reclusione ma anche con il sequestro e la confisca dei beni acquisiti illecitamente. Colpire cioè le mafie nella parte più sensibile, in quella che rappresenta il senso e la finalità del loro stesso operare. In tutti questi anni abbiamo incontrato ostacoli che sembravano insormontabili: dalle diverse tradizioni giuridiche che caratterizzano i paesi dell’Unione, alla reticenza di riconoscere la particolarità dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, dalla difficoltà a riconoscere la presenza di famiglie mafiose organizzate sul proprio territorio alla possibilità di concepire meccanismi legislativi che violassero la “sacralità” della proprietà privata. In tutti questi anni abbiamo marcato stretto commissari e parlamentari europei, abbiamo mostrato i risultati ottenuti a seguito della legge 109 del 96 che in Italia continua a segnare un punto alto di contrasto alle mafie, abbiamo spinto soprattutto per introdurre l’uso sociale dei beni confiscati. Finalmente lo scorso anno il commissario Cecile Malmstrom presenta una bozza di direttiva che va in questa direzione e ieri, dopo un iter lungo e faticoso, il Parlamento Europeo ha approvato quella norma a larghissima maggioranza. In questo hanno aiutato sicuramente alcuni parlamentari italiani particolarmente sensibili, il risultato del lavoro svolto dalla Commissione CRIM che ha evidenziato quanto l’economia criminale sia diffusa e radicata nei paesi dell’Unione, ma anche la nostra azione continua di sensibilizzazione nelle diverse nazioni, di audizioni in Parlamento, fino all’invito in Italia della stessa commissaria che ha visitato alcuni beni confiscati, ha parlato con magistrati ed esperti, ha incontrato i giovani delle cooperative che gestiscono i terreni sottratti alla disponibilità di alcuni esponenti di spicco della malavita italiana. Ieri a Strasburgo 631 parlamentari hanno votato a favore della direttiva, 19 contrari e 25 si sono astenuti. Un risultato lusinghiero al quale si è pervenuti soprattutto grazie al convincimento ormai diffuso per cui i profitti di provenienza illecita non aiutano lo sviluppo economico ma al contrario rischiano di influenzarlo, ostacolarlo, condizionarlo. Senza alcun dubbio il risultato della votazione di ieri costituisce un importante passo avanti che non deve però farci riposare tranquilli perché adesso bisognerà monitorare attentamente l’implementazione della direttiva che deve avvenire entro i prossimi 30 mesi. “La nostra priorità – ha spiegato la rumena Monica Luisa Macovei, relatrice del testo di direttiva in Parlamento – deve essere quella di poter seguire il flusso di denaro attraverso le frontiere e assicurare la confisca dei profitti criminali. Solo allora potremo sperare di ridurre la grande criminalità. Mandare alcuni criminali in galera lasciando il loro denaro sporco in circolazione è intollerabile”. Ma il dispositivo prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie, “per esempio l’istituzione di uffici nazionali centralizzati, una serie di uffici specializzati o meccanismi equivalenti, per garantire l’adeguata gestione di beni sottoposti a congelamento in vista di un’eventuale successiva confisca”. E, ancora, che provvedano “affinché le misure previste (…) includano la possibilità di vendere o trasferire il bene, ove necessario”. Ma soprattutto è stato approvato che “gli Stati membri valutano se adottare misure che permettano di utilizzare i beni confiscati a fini di interesse pubblico o per finalità sociali”. Più di prima ci sarà bisogno di far comprendere ai rappresentanti delle istituzioni nazionali e della società civile che l’aggressione al patrimonio mafioso è soltanto un aspetto, forse il più importante, della confisca. In Italia l’adozione del meccanismo di confisca ha giocato un ruolo importante in termini di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, ha costituito il volano per una cultura antimafia, ha reso più consapevoli e protagonisti gli stessi cittadini non solo dell’entità del fenomeno del riciclaggio ma anche della sottrazione di risorse alla pubblica utilità che questo comportava e di quali vantaggi vi erano nel ritornarne in possesso. Bisognerà persuadere governi e parlamenti degli altri 27 Paesi UE e, ancora una volta, ci sarà bisogno di una società civile forte e consapevole. Responsabile.