Fabrice Rousselot ha le occhiaie profonde di chi dorme poco e mi concede pochi minuti di conversazione poco prima che inizi la nuova,ennesima assemblea generale dei giornalisti di “Liberation”. E’ l’uomo che resta a guidare il giornale dopo le dimissioni di Demorand il direttore nominato dall’editore e sfiduciato più volte dalla redazione. “Liberation” ha già cominciato a cambiare da questa estate- mi dice- abbiamo creato il supplemento del week end, rinnovato la pagina web, ma abbiamo bisogno di nuovi investimenti perché il rinnovamento vada avanti”. Mentre parlo guardo il panorama di Parigi attraverso le grandi finestre della redazione. L’editore pensa di sfruttare questo panorama aprendo il palazzo del giornale al pubblico. Un ristorante all’ultimo piano farebbe affari, con questo panorama, e così’ pure uno studio tv o una radio. “Ma noi dobbiamo partire dalla identità del giornale – si accalora Rousselot. Quasi le stesse parole della famosa prima pagine di Libe’: “noi siamo un giornale, non un ristorante, non una radio, non una tv”. La risposta orgogliosa dei giornalisti alla ipotesi di ristrutturazione dell’editore. Sulle pareti si leggono gli appelli degli intellettuali. Fra gli altri Umberto eco che scrive “possiamo liberare “Liberation”. “Certo che possiamo – insiste Rousselot- ma dobbiamo partire dalla nostra identità editoriale”. E’ in realtà quasi un dialogo fra sordi. L’editore non vuole mettere altri soldi in una impresa che continua a perderne e indica un esperimento olandese dove un giornale in crisi si e’riconvertito in spazio culturale con un successo commerciale tale da salvare anche i posti di lavoro dei giornalisti. Ma a “Liberation” hanno una storia troppo gloriosa per accettare supinamente una trasformazione del genere. “Faremo un cafe’ Flore del futuro” dice accattivante un rappresentante dell’editore ma in redazione non ci crede nessuno. Tutti, o almeno la maggioranza,temono che il piano voglia semplicemente espellere la redazione dal palazzo e fare cassa con il nuovo utilizzo. Il valore immobiliare di un luogo contro il suo valore simbolico. Sembra di sentire, con le dovute differenze, la storia della battaglia sul palazzo di via solferino, il palazzo del corriere della sera nel centro di Milano ceduto dagli editori nonostante la battaglia contraria del giornalisti . E’ proprio vero che la crisi della carta stampata non conosce confini in questi tempi.