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Le mafie e il business della contraffazione

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di Piero Innocenti

La storia delle merci contraffatte vendute in strada, andata avanti, nella disattenzione generale (ad eccezione di alcuni momenti in cui, sotto la spinta irata e legittima dei commercianti, note ministeriali richiamavano l’attenzione istituzionale periferica), è, infine, giunta, alla sua naturale conclusione. L’illecito commercio di prodotti fraudolenti si è andato intrecciando sempre più con gli interessi della criminalità organizzata, tanto da arrivare a costituire “… una sorta di joint-venture fra mafie italiane, in particolare Camorra, e straniere” (cfr. la relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia, febbraio 2014).

L’allarme arriva anche dall’UNODC, l’agenzia delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine che, sempre a febbraio, ha fatto il punto della situazione con il “ Focus on the illicit trafficking of counterfeit goods and transnazional organized crime”. Si parla di un fatturato annuo mondiale stimato in oltre 250 miliardi di dollari riconducibile alla “ Mafia e alla Camorra in Europa e nelle Americhe, alle Triadi e Yakuza in Asia”. Per anni la produzione e il commercio di merci contraffatte è stato considerato, grazie anche a normative penali interne piuttosto blande, come un “lesser crime”(un delitto di scarsa importanza) e non si è, conseguentemente, esercitata un’adeguata azione di contrasto. Quante volte nelle città e nei luoghi di villeggiatura si è preferito tollerare e chiudere un occhio innanzi a venditori di prodotti di moda contraffatti? Questa tolleranza, abbastanza diffusa e prolungata nel tempo, talvolta anche sottovalutazione, ha fatto sì  che il traffico illecito di merci contraffatte abbia prodotto profitti notevoli per le organizzazioni criminali già indaffarate con le droghe, le armi, il traffico di persone (cfr. Europol “Octa 2011:EU Organized Crime Threat Assessment”). In molti casi il canale della vendita di merci contraffatte è stato utilizzato per ripulire il denaro sporco di altre attività criminali. Evidenze investigative e valutazioni congiunte di UNODC e della CCP (World Customs Organization Container Control Programme), indicano che, tra gennaio e novembre 2013, circa un terzo dei container ispezionati da teams delle dogane (78 su 200) a livello internazionale, trasportava merci contraffatte. C’è da restare sbalorditi sulla loro varietà. In ambito Unione Europea, per esempio, nel 2008, sul totale delle contraffazioni riscontrate, il 57% riguardava abbigliamento e calzature, il 10% gioielli e orologi, il 7% materiale elettrico, il 6% medicinali e, stessa percentuale del 4% per i cosmetici, i CD e CVD e giocattoli. L’1% era toccato alle sigarette. In alcuni casi, poi, sono risultate contraffatte persino componenti di aerei militari e civili! Sui medicinali “fraudolenti”, poi, viene la pelle d’oca  a pensare che, solo nei paesi sviluppati, si calcola che almeno l’1% dei medicinali in circolazione è “fasullo” e che detta percentuale sale al 10% in alcuni paesi poveri dell’Asia, Africa e America Latina (cfr. World Health Organization e UNODC in “Crime in East Asia and the Pacific: a Threat Assessment,2013”).
Le conseguenze della contraffazione di merci, sul piano sociale, etico, del benessere (inteso anche come salute pubblica), sono notevoli. Vernici tossiche e sostanze chimiche illegali vengono utilizzate in questa attività produttiva contribuendo a causare forti inquinamenti ambientali. Sono, altresì, ben note, le pessime condizioni lavorative sul piano salariale (in nero) e dei diritti cui vengono sottoposti i lavoratori, quasi sempre stranieri, in tale settore. Per non parlare delle situazioni alloggiative cui vengono costretti a vivere, in condizioni, spesso, degradanti e disumane. Lavoratori ( e lavoratrici) che, anche molto giovani, vengono “contrabbandati” da altri paesi, Africa e Asia in particolare, e, magari privati dei loro passaporti, costretti a confezionare e vendere i prodotti “taroccati”. In Italia, nel 2013, non sono state molte le persone denunciate dalle forze di polizia statali e locali alla magistratura ( i dati non sono ancora ufficiali ma si parla di circa un migliaio) per il delitto di contraffazione di marchi e prodotti industriali. Sul piano informativo è meritevole la campagna promossa dall’UNODC “Counterfeit:don’t buy into organized crime” e dall’Interpol che si rivolge ai consumatori invitandoli a verificare sul loro sito se il prodotto offerto è genuino o contraffatto. Naturalmente c’è ancora moltissimo lavoro da fare per tentare di riportare la situazione sotto controllo.

Da liberainformazione.org


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