Stava per festeggiare la sua prima settimana di vita quando lo hanno chiuso. Il quotidiano Aseman, “il cielo”, è stato infatti sottoposto a sequestro giunto appena al suo sesto vagito per la grave colpa di aver pubblicato un’intervista con il professor Hermidas Bavand, raggiunto dopo un ‘ assemblea alla facoltà di scienze politiche e sociali di Tehran . E cosa diceva di così grave il professor Bavand? Ricordava che proprio in quelle ore cadeva il 32esimo anniversario dell’opposizione da parte dell’importantissimo partito iraniano Fronte Nazionale, ” Jebhe melli” , contro l’introduzione della cosiddetta legge del taglione a tutti tragicamente nota. Quel decreto, voluto da Khomeini, definiva la barbarie del taglio della mano o altro come una legge islamica, il Fronte Nazionale la definiva invece una violazione dei diritti dell’uomo. L’ayatollah non la prese bene e firmò una fatwa nella quale dichiarava il Fronte Nazionale apostata.
Questa fatwa khomeinista giustificò la rimozione di alcuni docenti universitari, apostati anche loro in quanto aderenti all’apostata Fronte Nazionale, partito che, vale la pena ricordarlo, aveva avuto tra i suoi fondatori il premier post-rivoluzionario. Oggi, dopo 32 anni, basta ricordare questa storia per chiudere un giornale e spedirne il direttore, Abbas Bozorgmehr, nel carcere di massima sicurezza di Evin! I suoi amici se ne vorranno ottenere la scarcerazione, in attesa del processo, dovranno sborsare una cifra astronomica in Iran, pari a circa 50mila euro.
Difficile pensare a “un caso”. Anche perché tre mesi fa un esperto religioso vicino alle posizioni dissenzienti dell’ayatollah Montazeri, Aliasqar Gharavi, è stato arrestato per il contenuto di un suo articolo apparso sul quotidiano “Bahar”. Anche Bahar, ovviamente, è stato chiuso. Gharavi si permetteva di parlare, in termini storici, del principio khomeinista del”governo del giureconsulto”.
Come spiegarsi questo assalto all’informazione proprio all’inizio dell’epoca Rohani? Molti in Iran ritengono che Khameney abbia delegato la partita nucleare al presidente, in cambio del silenzio sulla lotta ai diritti umani e alla libertà d’informazione in particolare. Un silenzio che Rohani non può rompere, come ovviamente gli americani, dal momento che sull’altro piatto della bilancia c’è il nucleare e tutto ciò che di positivo ne può derivare per il mondo e il popolo iraniano. Ma a un prezzo già imposto, e accettato.