É bastata una bandiera arcobaleno per squarciare il velo di ipocrisia che accompagna i giochi olimpici di Sochi. A dispetto delle foto di Putin che abbraccia calorosamente una atleta omosessuale (“un” atleta sarebbe stato troppo, lo immaginiamo), il clima omofobo che aleggia su questi giochi resta intatto. A dimostrarlo, quello che é accaduto ieri a Vladimir Luxuria, che incurante di ogni censura ha provato a sventolare una bandiera con la scritta “gay é ok”.
Qualcuno proverà a dire che “se l’é andata a cercare”, bollerà quel gesto come la solita provocazione. In realtà la vera provocazione é che sia stato il primo gesto a questi giochi (al di fuori delle blande “provocazioni” per ragion di stato) a mettere apertamente in discussione la censura russa e l’ipocrisia dei tanti paesi che partecipano alle olimpiadi invernali.
Gli sponsor pubblicitari hanno oscurato i cinque cerchi olimpici con il loro significato di universalità e fratellanza.
Anche i paesi che si dicono sensibili ai temi dei diritti, lo fanno distrattamente in questi giorni.
Allora tocca ancora a qualche intrepido libero cittadino sfidare il tacito patto del silenzio, sottoscritto dagli Stati partecipanti, Italia compresa.
Non ci rassegniamo a questa nuova interpretazione della pax olimpica, pace non vuol dire silenzio o indifferenza.
Le olimpiadi sono spesso state l’occasione per innalzare, davanti all’opinione pubblica mondiale, l’etica delle ragioni che vanno oltre ogni bandiera, l’universalità dell’essere liberi ed eguali, come persone.
La bandiera arcobaleno dovrà essere sventolata con più forza in questi giorni, non per “propagandare” una minoranza, come teme il Governo russo, ma semplicemente per dire che essere liberi di essere “é ok”.