Nel Rapporto di Reporter Sans Frontières avanza di nove posizioni in un anno. Le obiezioni di Ossigeno e del sen. Casson
Nella classifica mondiale mondiale dei paesi relativa alla libertà di stampa stilata annualmente da Reporter sans Frontières e presentata il 12 febbraio 2014 a Parigi, nel 2013 l’Italia ha guadagnato ben nove posizioni (passando dalla 58.esima alla 49.esima). Il giudizio di RSF, organizzazione che dal 1985 si batte per la tutela dei giornalisti in tutto il mondo, si basa sulla considerazione che il Parlamento italiano ha avviato la discussione di una proposta di legge che prevede la depenalizzazione della diffamazione a mezzo stampa.
Ossigeno per l’Informazione ha chiesto di correggere la valutazione positiva sull’Italia facendo osservare che le cose non stanno così: la proposta di legge citata propone solo di sostituire la pena del carcere con sanzioni economiche non meno preoccupanti e intimidatorie, poiché non sono proporzionate alle capacità economiche del condannato né al danno concreto arrecato (LEGGI).
Analoghe obiezioni ha fatto il senatore Felice Casson (Pd). ”È importante – ha detto il parlamentare – che a livello internazionale venga riconosciuto lo sforzo del Parlamento di modificare la normativa italiana in materia. Ma, purtroppo, bisogna anche sottolineare che ciò non è ancora avvenuto. Al momento, infatti, è stato soltanto escluso il carcere per i giornalisti, ma il reato di diffamazione non è stato ancora depenalizzato. Mi auguro che il Senato, in particolare la commissione Giustizia, provveda al più presto a concludere l’iter del disegno di legge che finalmente metterebbe ordine all’interno di una materia di grande delicatezza per la libertà d’informazione e i diritti individuali”.
LA CLASSIFICA – In base all’apprezzamento della futura riforma della diffamazione, RSF ha trasferito l’Italia dal gruppo dei paesi con “problemi sensibili” a quello dei paesi che presentano una “situazione piuttosto buona” (guarda la cartina).
L’Italia, si legge nel rapporto, rappresenta “l’unica evoluzione positiva” nell’Europa del Sud, visto che sta preparando “una legge incoraggiante per depenalizzare la diffamazione a mezzo stampa” (“which has finally emerged from a negative spiral and is preparing an encouraging law that would decriminalize defamation via the media”).
GLI ALTRI PAESI – A livello continentale, in testa alla classifica di RSF rimangono Finlandia, Paesi Bassi e Norvegia, mentre in coda c’è la Bulgaria, anche a causa delle violenze subite da alcuni cronisti durante le proteste antigovernative della scorsa estate.
La classifica 2014 segnala fra l’altro il peggioramento della libertà di stampa in paesi quali la Gran Bretagna (che arretra di tre posizioni), gli Stati Uniti (tredici posti) – a causa della condanna di Bradley Manning nel caso Wikileaks e della vicenda Snowden – e soprattutto la Repubblica Centrafricana, attuale teatro di un grave conflitto interno e per questo arretrata di ben 43 posizioni rispetto allo scorso anno.
In coda ci sono Siria, Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea.
METODOLOGIA – RSF classifica i paesi in base a un indice che combina insieme diversi fattori: la possibilità dei media di esprimere le più diverse opinioni (pluralismo), l’indipendenza degli stessi da autorità e poteri, il contesto all’interno del quale i giornalisti lavorano e la tentazione dell’autocensura, le leggi in materia di libertà di espressione, la trasparenza nella produzione delle informazioni, la qualità delle infrastrutture a supporto della produzione stessa, oltre che gli episodi di violenza nei confronti dei giornalisti stessi.
INDEX ON CENSORSHIP – La valutazione di un’altra organizzazione internazionale che ha sede a Londra, Index on Censorship, non concorda con quella di RSF. Nell’ultimo rapporto annuale, pubblicato a dicembre del 2013, si legge che l’Italia “rimane indietro rispetto a nuove democrazie emergenti” per motivi ben noti: il fatto che nel nostro paese la diffamazione sia un reato e non un illecito civile, le norme con cui gli uomini politici si proteggono dalle critiche della stampa, la difficoltà dei cittadini di accedere alle informazioni anche quando le richiedono esplicitamente, lo scarso pluralismo e il mercato bloccato, il conflitto d’interessi e le interferenze di alcuni politici, oltre a leggi che non tutelano adeguatamente i diritti umani.
MF – OSSIGENO
Nel Rapporto di Reporter Sans Frontières avanza di nove posizioni in un anno. Le obiezioni di Ossigeno e del sen. Casson
Nella classifica mondiale mondiale dei paesi relativa alla libertà di stampa stilata annualmente da Reporter sans Frontières e presentata il 12 febbraio 2014 a Parigi, nel 2013 l’Italia ha guadagnato ben nove posizioni (passando dalla 58.esima alla 49.esima). Il giudizio di RSF, organizzazione che dal 1985 si batte per la tutela dei giornalisti in tutto il mondo, si basa sulla considerazione che il Parlamento italiano ha avviato la discussione di una proposta di legge che prevede la depenalizzazione della diffamazione a mezzo stampa.
Ossigeno per l’Informazione ha chiesto di correggere la valutazione positiva sull’Italia facendo osservare che le cose non stanno così: la proposta di legge citata propone solo di sostituire la pena del carcere con sanzioni economiche non meno preoccupanti e intimidatorie, poiché non sono proporzionate alle capacità economiche del condannato né al danno concreto arrecato (LEGGI).
Analoghe obiezioni ha fatto il senatore Felice Casson (Pd). ”È importante – ha detto il parlamentare – che a livello internazionale venga riconosciuto lo sforzo del Parlamento di modificare la normativa italiana in materia. Ma, purtroppo, bisogna anche sottolineare che ciò non è ancora avvenuto. Al momento, infatti, è stato soltanto escluso il carcere per i giornalisti, ma il reato di diffamazione non è stato ancora depenalizzato. Mi auguro che il Senato, in particolare la commissione Giustizia, provveda al più presto a concludere l’iter del disegno di legge che finalmente metterebbe ordine all’interno di una materia di grande delicatezza per la libertà d’informazione e i diritti individuali”.
LA CLASSIFICA – In base all’apprezzamento della futura riforma della diffamazione, RSF ha trasferito l’Italia dal gruppo dei paesi con “problemi sensibili” a quello dei paesi che presentano una “situazione piuttosto buona” (guarda la cartina).
L’Italia, si legge nel rapporto, rappresenta “l’unica evoluzione positiva” nell’Europa del Sud, visto che sta preparando “una legge incoraggiante per depenalizzare la diffamazione a mezzo stampa” (“which has finally emerged from a negative spiral and is preparing an encouraging law that would decriminalize defamation via the media”).
GLI ALTRI PAESI – A livello continentale, in testa alla classifica di RSF rimangono Finlandia, Paesi Bassi e Norvegia, mentre in coda c’è la Bulgaria, anche a causa delle violenze subite da alcuni cronisti durante le proteste antigovernative della scorsa estate.
La classifica 2014 segnala fra l’altro il peggioramento della libertà di stampa in paesi quali la Gran Bretagna (che arretra di tre posizioni), gli Stati Uniti (tredici posti) – a causa della condanna di Bradley Manning nel caso Wikileaks e della vicenda Snowden – e soprattutto la Repubblica Centrafricana, attuale teatro di un grave conflitto interno e per questo arretrata di ben 43 posizioni rispetto allo scorso anno.
In coda ci sono Siria, Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea.
METODOLOGIA – RSF classifica i paesi in base a un indice che combina insieme diversi fattori: la possibilità dei media di esprimere le più diverse opinioni (pluralismo), l’indipendenza degli stessi da autorità e poteri, il contesto all’interno del quale i giornalisti lavorano e la tentazione dell’autocensura, le leggi in materia di libertà di espressione, la trasparenza nella produzione delle informazioni, la qualità delle infrastrutture a supporto della produzione stessa, oltre che gli episodi di violenza nei confronti dei giornalisti stessi.
INDEX ON CENSORSHIP – La valutazione di un’altra organizzazione internazionale che ha sede a Londra, Index on Censorship, non concorda con quella di RSF. Nell’ultimo rapporto annuale, pubblicato a dicembre del 2013, si legge che l’Italia “rimane indietro rispetto a nuove democrazie emergenti” per motivi ben noti: il fatto che nel nostro paese la diffamazione sia un reato e non un illecito civile, le norme con cui gli uomini politici si proteggono dalle critiche della stampa, la difficoltà dei cittadini di accedere alle informazioni anche quando le richiedono esplicitamente, lo scarso pluralismo e il mercato bloccato, il conflitto d’interessi e le interferenze di alcuni politici, oltre a leggi che non tutelano adeguatamente i diritti umani.
MF
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