Matteo Renzi ha bisogno di correre. L’8 dicembre un milione e 800mila italiani, votandolo, gli hanno chiesto di dimostrare che le cose si possono cambiare in fretta, anche senza guardare troppo per il sottile. Gli chiedono di correre spedito anche Squinzi e Landini,si potrebbe dire, il diavolo e l’acqua santa. Glielo chiedono l’ambasciatore americano, per cui è ormai amichevolmente “Matteo”, e non pochi portavoce dei cittadini a 5stelle, sì quelli stessi a cui s’è rivolto il Sindaco “soffro a vedere che sembrano dei prigionieri politici, mi vorrebbe l’ora di dire: uscite, date una mano”. E Matteo corre, ma nella sua corsa, novello Achille, non vorrebbe superare la tartaruga del governo, perché sa quanto pesi quella corazza e non gli piacerebbe doversela strascinare sulle spalle. Correre sulla collina di Fiesole è un conto, correre tra Palazzo Chigi, il Quirinale, circondotto da Capi di Gabinetti, assediato da questuanti, è un altro.
Ieri Matteo Renzi ha provato a risolvere questo nuovo paradosso di Zenone mettendolo in piazza. Concludendo i lavori della Direzione del Pd ha detto «Io sono per continuare con il governo Letta per gli 8 mesi che mancano. Vogliamo cambiare schema? Disponibilità totale. Se vogliamo giocare un altro schema, confermare quello attuale o dire che si va alle elezioni, facciamo slittare la direzione sul jobs act, ne riparliamo il 20”. E a Letta, che lo ascoltava in sala, ha chiesto di giocare “a carte scoperte”. Su rilancio e durata del governo, scelta dei ministri, insomma sullo “schema”.
Per il Corriere della Sera si è trattato di una “Stretta di Renzi su Letta”. Al contrario secondo la Stampa sul “Governo Renzi prende tempo”. Per Repubblica invece, “Apre al dopo Letta”. E il Fatto vede “grandi manovre” in corso. “Renzi: grillini venite a me”. Per il Giornale “Renzi licenzia Letta”.
Non c’è che fare. Questo è lo schema. Correre come Achille perché per scongiurare il rischio che la palude, le sabbie mobili, il nulla della Storia infinita, ti possano ingoiare. Tutto il resto conta meno. L’inedito annuncio renziano di un Senato che diventa un’assemblea di Sindaci (con una minoranza di Presidenti delle Regioni), non ha sconvolto nessuno. Così pure la scelta di Grasso di costituirsi parte civile Berlusconi, ha scatenato la tempesta di un giorno. L’Italia è disposta a correre con Renzi, a costo di perdere pezzi e di trovarsi alla fine con un vestito diverso da quello che aveva e che non ha proprio scelto, perché ha paura di restare in fondo alla fila, con altri che decidano in sua vece.
Il sindaco segretario lo sa e affonda la lama nelle paure. Dopo tutto, ha detto ieri, se Berlusconi riuscisse a prendere il 37 per cento al primo turno (arraffando il premio di maggioranza e poi trovandosi al governo con una ingovernabile armata Brancaleone) dovremmo farci delle domande su noi stessi. E, con una certa crudeltà, ha sottolineato il silenzio sotto cui è passata la fuga dall’Italia della Fiat. Civati ha lanciato un tweet molto efficace. “Potremmo delocalizzare il Senato ad Amsterdam”. Vero, la fretta può essere una pessima consigliera.
Ieri, in Commissione affari Costituzionali del Senato, abbiamo licenziato per l’aula il decreto sul finanziamento dei partiti. Elimina la vergogna dei rimborsi, siamo persino riusciti ad abbassare il tetto dei “doni” ai partiti da parte di certi “nababbi”, ma è un provvedimento che fa acqua da più parti. Così come fa acqua il premio di maggioranza al primo turno e le liste “corte” con ripartizione nazionale (in pratica solo il capolista sarà ragionevolmente certo di essere eletto, alla faccia della riconoscibilità per l’elettore dell’eleggendo!). È più di tutto fa acqua questo progetto per il Senato, che riempirà probabilmente d’orgoglio tanti bravi sindaci ma che nessuno può dire cosa farà e quando troverà il tempo per farlo. Però, su una cosa trovo che abbia ragione Renzi: se qualcuno ha uno schema diverso da proporre, lo faccia. A carte scoperte.