Diffuse in tutto il mondo, in Italia sono attive in 3 università: Brescia, Torino e Roma3. E anche Palermo si sta attrezzando. Permettono agli studenti di Giurisprudenza di fare pratica su casi reali e di impegnarsi socialmente
BOLOGNA – Un nuovo modello didattico e, soprattutto, impegno sociale. Sono queste le caratteristiche delle “cliniche legali”. Diffuse in tutte il mondo, in Italia le “legal clinics” fanno ancora fatica a emergere. Sono solo 3 quelle attive a oggi nelle università italiane. Si tratta di un metodo didattico riservato agli studenti di Giurisprudenza per permettere loro di fare pratica su casi reali e offrire assistenza legale ai più disagiati. La prima è nata a Brescia, poi sono seguite quelle di Torino e Roma. E in futuro potrebbe aprirne una a Palermo. Con le dovute differenze però. A Brescia, ad esempio, la clinica è multidisciplinare e non specializzata solo su un campo, come invece accade a Roma dove si trattano soprattutto casi riguardanti immigrazione e diritto d’asilo, ma è anche vero che a Brescia, come a Torino, i casi sono segnalati alla clinica da associazioni, mentre a Roma esiste un vero e proprio sportello aperto al pubblico. Unico tratto comune delle cliniche, è la mancanza di risorse.
“Scegliamo i casi in base alla loro rilevanza sociale e alla valenza didattica – spiega Marzia Barbera, coordinatrice di Brescia – Abbiamo contatti con Cgil, Caritas, Federconsumatori e altre associazioni”. Che poi, quella di Brescia, a dirla tutta, è diventata un vero e proprio corso di laurea e gli “studenti lo scelgono per vedere il diritto in azione e il processo di responsabilizzazione è tangibile”. Nelle altre città invece le cliniche legali sono attività formative facoltative. Partiti con 15 studenti l’anno adesso a Brescia ce ne sono 77. “I ragazzi scrivono gli atti, si occupano del caso ma non possono rappresentare gli assistiti in tribunale anche se sono ammessi alle udienze”, continua Barbera. Gli studenti lavorano in gruppi di 4-5 e sono seguiti da un docente e un avvocato che supervisionano il lavoro. Tra gli altri, i ragazzi si sono occupati di un caso di licenziamento collettivo, casi di discriminazione e di chi ha visto respinto la sua richiesta di asilo.
A Torino invece i ragazzi coinvolti quest’anno sono stati 65. Nata 5 anni fa con la collaborazione della Iuc (l’International University College di Torino) una clinica specializzata in diritti umani e immigrazione, la clinica ha aggiunto quest’anno altre 2 specializzazioni: persone e famiglia e carcere e diritti. Anche in questo caso i casi sono passati da associazioni terze e “la maggior parte delle volte – spiega Francesco Costamagna, ricercatore di diritto dell’Unione europea dell’Università di Torino – non trattiamo casi che finiscono in tribunale ma facciamo solo consulenza e aiutiamo a trovare una soluzione”.
Diverso invece il caso di Roma3. L’unica clinica legale “in house” (questa la definizione) che ha uno sportello aperto al pubblico all’interno dell’università. Nata due anni fa ha già gestito circa 200 casi e si propone come attività facoltativa del corso. Specializzata in tematiche che riguardano migranti e richiedenti asilo, nel 2013 ha gestito 70 casi, di cui 15 hanno raggiunto il livello giudiziale (rappresentati in aula da avvocati, ma con atti e ricorsi scritti dagli studenti). Protezione internazionale (21 casi), diritto allo studio e riconoscimento dei titoli di studio e professionali conseguiti nei Paesi di origine (17 casi), rinnovo e conversione del permesso di soggiorno (10 casi) ma anche procedure pendenti in relazione alla sanatoria del 2009 (9 casi), diritti dei minori al compimento della maggiore età (3 casi), diritto di ricongiungimento e coesione familiari (6 casi), causa in materia di diritto penale legate alle procedure di diritto dell’immigrazione (2 casi).
Nell’aula adibita a sportello vengono accolti i migranti che, saputo del servizio tramite il passaparola, vengono registrati con una scheda che contiene tutte le informazioni sia sull’assistito che sul caso. “Un’esperienza così funziona solo se c’è risposta dagli studenti – sostiene Enrica Rigo, ricercatrice in Filosofia del Diritto di Roma3 – per fortuna in questi anni si sono dimostrati entusiasti al punto che tra di loro ora sono nate anche associazioni che si occupano attivamente delle tematiche trattate”. È infatti per questo che già da un anno alcuni studenti hanno esercitato consulenza legale al “Salam Palace”, un’occupazione nel quartiere Romanina, che conta 800 migranti (di cui 200 donne e 50 bambini) offrendo assistenza a 33 di loro. A marzo del 2013 invece risale il servizio di consulenza legale nelle campagne di Rosarno, in Calabria, che li ha portati successivamente, vista la buona riuscita dell’esperienza, a Capitanata, a Foggia, e in Basilicata. “Per mantenere attivo lo sportello anche quando l’università è chiusa – conclude Rigo – offriamo ogni anno delle borse di studio”.
A Palermo invece, con il Progetto Place, realizzato grazie alla vittoria del bando “Messaggeri della Conoscenza” si muovono i primi passi verso l’apertura di una clinica legale. Il progetto prevede che 6 ragazzi vadano a studiare per 3 mesi nelle cliniche legali del Brasile, a Fortaleza. Pronti a partire sono 5 studenti di Giurisprudenza e una dottoranda che una volta tornati, avranno il compito di stilare un manuale di buone pratiche che lasceranno in eredità alla città. “L’idea del tutto embrionale – spiega Guido Smorto, direttore scientifico del progetto – è aprire una clinica legale come sportello aperto al pubblico all’interno del quartiere Ballarò (zona popolare, ndr), dove ha sede la facoltà di Giurisprudenza. Quando i ragazzi torneranno vorremmo realizzare dei workshop e delle passeggiate nel quartiere per capire che bisogni ci sono. A oggi l’idea è quella di specializzarci in diritto di famiglia ma è ancora un processo in corso di selezione. Valuteremo anche se seguire i casi solo nello stragiudiziale o anche nel giudiziale – conclude – Procediamo un passo per volta per capire su Palermo cosa e come si può fare”. (Irene Leonardi)