di Roberta Ronconi –
Iniziamo per ordine di visione. Scorre come acqua tiepida “Tutta colpa di Freud” di Paolo Genovese, con un Marco Giallini psicoanalista single alle prese con tre figlie tutte impantanate in storielle d’amore. Televisivo il ritmo e le riprese, inutile la sceneggiatura, scontate le gag. Unico dato positivo, una certa levità non volgare. Troppo poco, per una commedia. Il livello di ritmo si alza, ma solo di una tacca, con “Smetto quando voglio” dell’esordiente Sydney Sibilia. A parte “l’originalità” dell’idea (copiata di sana pianta dal magnifico Breaking Bad), che però traslata nell’Italia di oggi funziona piuttosto bene, anche qui le occasioni di divertirsi realmente sono poche, nonostante un cast adatto (soprattutto quello sottratto al grande “Boris”). Ma niente, il film parte decentemente poi si arena su se stesso, al protagonista Edoardo Leo a nostro avviso mancano i tempi comici e il tutto finisce in discesa.
Ma il vero scandalo è “Sotto una buona stella” di Carlo Verdone. Che fine triste per questo magnifico ex-autore-comico da collezione! Invecchiando, invece di costruirsi un personaggio adatto all’età, ha solo castrato il Verdone che fu, rendendolo patetico e tristemente scontato. In quattro ci si sono messi per scrivere una sceneggiatura che non è nemmeno un canevaccio (sporco). Due le frasi compiute, il resto è tutto un mugugno, un ammiccamento, una mossetta. Assenti regia e interpreti, a parte forse Paola Cortellesi che, pur non brillando come attrice, i tempi comici di suo ce l’ha, e ancora abbastanza freschi. Triste, scontato, da cancellare.
Perché quando fanno commedia, gli autori italiani abbassano tutti la mira, svilendo il genere più nobile che il cinema ha da offrire? Va bene forse per soldi, per acchiappare il grande pubblico che effettivamente in sala ride più di noi. Ma che svilimento questo gioco al ribasso, questo fare cinema tanto per fare incasso. La moneta evidentemente non puzza, ma sulla bilancia pesa più di tutto il resto.