ROMA – Corsi e ricorsi storici in Italia sono facili, complice la scarsa memoria storica degli italiani, e così, ancora una volta, con un colpo di mano extraparlamentare c’è stato un repentino cambio di governo. E’ la terza volta in soli 27 mesi che un governo esce di scena a seguito di decisioni assunte al di fuori delle aule parlamentari. Una rappresentazione plastica della crisi del sistema politico italiano.
Con Monti, la spinta era partita dalle speculazioni della finanza europea sui titoli di Stato; con Letta, invece, dall’esito incerto della consultazione elettorale.
In entrambi i casi, gli italiani si erano ritrovati un governo del Presidente, con il beneplacito della troika (Commissione europea, Bce e Fmi) e delle Cancellerie europee (tedesca, in primis).
Stavolta, con Renzi, si è di fronte a un governo che nasce anch’esso al di fuori dei canoni dettati dalla Costituzione repubblicana, a seguito di una sfiducia votata non dalle Aule parlamentari ma dalla direzione del secondo partito italiano (che gode sì della maggioranza in Parlamento, ma grazie ai voti conseguiti dalla coalizione con la quale si è presentato alle elezioni dello scorso anno e che ha subito abbandonato per quel governo di larghe intese che avrebbe dovuto garantire stabilità al Paese).
Per meglio raccontarla, considerato che i partiti sono, da un punto di vista giuridico, associazioni private, come ha scritto un noto editorialista “il governo in carica è stato licenziato in un’abitazione privata da un gruppo di persone private”.
Fatto sta che mentre il Paese continua ad affondare, gli italiani assistono imperterriti da vent’anni a una passerella di uomini della provvidenza, dotati più che di grandi capacità, di un’ambizione smodata. Il neo premier Renzi ha detto «se va male ci metto la faccia». Il guaio è che lui ci metterà pure la faccia ma gli italiani, diciamo così, ci mettono il loro futuro e quello dei loro figli. Un mese fa, con l’articolo Ecco come Matteo Renzi vuole rendere gli italiani “più uguali più ricchi”, avevamo illustrato quello che è il manifesto della renzinomics, il programma stilato dal suo consigliere economico, Itzhak Yoram Gutgeld.
Le forti preoccupazioni contenute nella nostra riflessione vengono confermate dalla squadra di governo partorita dal Sindaco d’Italia o meglio, come egli si autodefinisce e come lo definiscono i suoi principali avversari, dal Ragazzo, con la erre maiuscola.
I ragazzi con la erre minuscola, invece, restano necessariamente a casa, non perché choosy (schizzinosi), come diceva la mitica (si fa per dire) Elsa Fornero, ma perché senza lavoro o perché, se ce l’hanno, sono così sottopagati e precari, al punto da non potersi mantenere.
Il significato della parola ragazzo, infatti, non è più quello di “persona nell’età compresa tra la pubertà e l’età adulta”. Ragazzo, oggi, è diventato sinonimo di uomo in carriera, uomo di successo, anche se sposato e con tre figli.
E così di Ragazze e Ragazzi nel governo formato da pochi giorni ne abbiamo a iosa.
Ma veniamo alle cose più serie.
Se l’emergenza è l’economia, uscire dalla crisi e ridare lavoro al Paese, allora questa squadra di governo, a prevalenza di “Ragazze e Ragazzi”, conferma tutti i timori che esprimevamo nel nostro precedente articolo.
E’ una squadra pensata col bilancino degli interessi dei principali attori dell’economia, a partire dal ministro Pier Carlo Padoan, definito dal premio Nobel per l’economia Paul Krugman: il «cheerleader del rigore».
Formatosi nel circolo degli economisti dei Quaderni della Rivista Trimestrale di Franco Rodano, professore di economia all’Università La Sapienza di Roma, ha collaborato con il Centro Europa Ricerche (Cer) e con il Centro studi di politica economica (Cespe). Ha insegnato anche presso il College of Europe di Bruges, la Libera Università di Bruxelles, quelle di La Plata e di Tokyo. Consulente della Banca mondiale, della Commissione europea (dove ha seguito tra l’altro le trattative per l’Agenda 2000 per il bilancio UE e l’Agenda di Lisbona) e della Banca centrale europea.
Amico di D’alema, è stato suo consulente economico alla Presidenza del Consiglio dal 1998. Poi confermato in quel ruolo da Giuliano Amato fino al 2001. Quindi, dal 2001 al 2005, Direttore esecutivo per l’Italia del Fondo monetario internazionale e responsabile per Grecia, Portogallo, San Marino, Albania e Timor Est.
Per quanto riguarda Grecia e Portogallo, sappiamo come è andata a finire e, stando ad articoli di stampa, sembrerebbe che proprio le indicazioni dettate da Padoan siano state decisive per il tracollo di quei Paesi.
In proposito, sempre il Nobel Krugman ebbe a commentare dalle colonne del New York Times: “Certe volte gli economisti che ricoprono incarichi ufficiali danno cattivi consigli; altre volte danno consigli ancor peggiori; altre volte ancora lavorano all’Ocse”. Ora speriamo non tocchi all’Italia.
Dal giugno 2007, vice segretario generale dell’Ocse e, dal dicembre 2009, anche capo economista, Padoan è il rappresentante dell’Ocse al G20 finanza.
Di certo, il nuovo ministro dell’economia ha una conoscenza migliore di altri paesi che non dell’Italia, visto che nel 2010 dichiarava, in sintonia con Berlusconi e Tremonti, che la nostra penisola era “decisamente fuori dai paesi a rischio”.
Dalle dichiarazioni rilasciate in questi giorni, vorrebbe apparire un po’ meno “rigorista” ma solo per le imprese.
Non ha parlato, infatti, di riduzione delle imposte che pesano sui lavoratori dipendenti ma solo di cuneo fiscale e di riduzione Irap per le imprese.
Anche lui, come la Fornero, è propenso ad abolire la cassa integrazione per estendere i sussidi di disoccupazione ed è favorevole a una maggiore flessibilità dei contratti e degli accordi collettivi nazionali, che andrebbero di volta in volta adattati alla congiuntura economica.
Insomma, Padoan sembra molto attento alle esigenze degli imprenditori e ben poco a quelle di sopravvivenza dei lavoratori.
Nel 2010 dichiarava: “Il reddito da lavoro regolare fino ad oggi è stato troppo penalizzato e il nero si è trasformato in patrimonio, per riequilibrare questa asimmetria non sono teoricamente contrario a una patrimoniale, certo dipende da come viene realizzata”.
Che ne penseranno Alfano e tutti i paladini anti Imu?
Ma, come tutti ben sanno, non si governa l’economia solo dalle stanze di via XX Settembre.
E allora come mostrarsi attenti agli imprenditori se non ponendo una di loro alla testa del ministero dello sviluppo economico?
Così è stata scelta Federica Guidi, ex presidente dei giovani industriali, così vicina a Berlusconi da fargli dire “abbiamo un ministro al governo pur essendo noi all’opposizione”. Un’altra pasdaran dell’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, del superamento dei contratti collettivi nazionali per introdurre quelli individuali, dello svilimento del ruolo del sindacato.
Può un ministro con un siffatto profilo chiudere i 165 tavoli di confronto, aperti per altrettante aziende in crisi, con un occhio attento ai lavoratori? Se molte di quelle aziende stanno traslocando a causa di processi di delocalizzazione, da che parte sarà chi con la propria impresa è stata tra gli antesignani delle delocalizzazioni?
Ma ciò che è peggio – nonostante lo sbandierato obiettivo di trasparenza e di assenza di conflitti di interessi – è che la Guidi è stata collocata alla testa di un ministero chiave, che tra l’altro gestisce anche le frequenze televisive e le politiche energetiche. Una persona che è vicina al Cavaliere, che ha interessi nella produzione di energia e che, attraverso le proprie imprese, vanta un notevole numero di commesse pubbliche.
Così come c’è un evidente conflitto di interessi per il nuovo responsabile del Welfare, Giuliano Poletti, che è presidente della Lega delle Cooperative da ben 11 anni e da pochi giorni anche dell’Alleanza delle cooperative italiane, che raggruppa Coop rosse e bianche, Agci, Confcooperative e Lega Coop.
Egli si è espresso subito per un anno di servizio civile obbligatorio per tutti i giovani.
In un momento di grave crisi dei bilanci degli enti locali, quanti servizi, come ad esempio l’assistenza agli anziani o gli asili nido, rischiano di passare dal pubblico alle cooperative?
Last but not least il ministero della funzione pubblica, alla cui testa è stata posta Marianna Madia, passata alla storia per aver dichiarato nel 2008, al momento del suo ingresso in Parlamento, a 27 anni, «Porto in dote la mia straordinaria inesperienza».
Laureatasi con lode in scienze politiche alla Sapienza, si è specializzata presso l’Istituto di Studi Avanzati di Lucca, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in economia del lavoro. Quindi ha collaborato con l’ufficio studi dell’Agenzia di ricerche e legislazione, fondata da Nino Andreatta e al tempo diretta da Enrico Letta, che successivamente, da sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel 2006, la porterà nella sua segreteria.
Nel suo Un welfare anziano. Invecchiamento della popolazione o ringiovanimento della società?, pubblicato nel 2007 da Il Mulino, la Madia illustra la sua idea di welfare: lei precaria, favorevole ad un periodo di precariato per tutti all’inizio del rapporto di lavoro e a un diverso sistema pensionistico, molto vicino a quelle idee poi tradotte nella legge Fornero.
Dal 2011, è anche nel comitato di redazione della rivista della Fondazione Italianieuropei, presieduta da D’Alema.
Anche se alla Camera presenta diverse proposte di legge come quella sul lavoro, che ha visto la contrarietà di buona parte del suo gruppo, viene ricordata soprattutto per le sue gaffe, come quando a dicembre scorso, appena entrata nella segreteria di Renzi come responsabile del settore Lavoro, si recò, anziché da Giovannini, al ministero del Lavoro, da Zanonato, al dicastero dello Sviluppo economico.
Oppure quando, nella sua prima intervista da ministro, ha “promosso” a funzionari tutti i dipendenti pubblici.
Ma Marianna è persona mite, si adatta con facilità ai tanto repentini quanto frequenti cambi di egemonia interni ad un partito, il Pd, che cambia segretario all’incirca ogni due anni e così le gaffe non solo le scivolano addosso ma la rinforzano.
Quindi, in particolare con le persone scelte per i dicasteri che a vario titolo affronteranno le questioni economiche, Renzi realizzerà quel programma di ulteriore semplificazione e precarizzazione del mercato del lavoro, di ennesima revisione del sistema pensionistico, di riforma ed esternalizzazione dei sevizi, a partire da quelli alla persona, di privatizzazione di servizi pubblici (dai trasporti al’energia) e di vendita del patrimonio pubblico.
Ricette vecchie di vent’anni, che ci hanno solo impoverito e portato alla paralisi economica. Grazie all’ennesimo innamoramento degli italiani per l’uomo della provvidenza (stavolta è pure giovane, anzi Ragazzo, e molti anziani lo vedono come un figlio), la “soluzione finale” dell’Italia sarà più facile.
I populisti che propugnano la fine dei partiti e la lotta al finanziamento pubblico potranno vivere in un paese oligarchico, dove chi governa dipende e risponde solo agli interessi di chi gli finanzia le campagne elettorali.
Ma non disperiamo, possiamo sempre confidare nelle capacità autodistruttive del Partito democratico.
da dazebao.it